Gli antinfiammatori possono fare male al cuore

Gli antinfiammatori possono fare male al cuore

ANDREA ARFE', DOTTORANDO IN STATISTICA ALLA BOCCONI, E' IL PRIMO AUTORE DI UNO STUDIO PUBBLICATO DAL BRITISH MEDICAL JOURNAL. CHI FA USO DI FANS (FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI PRESCRITTI) HA IL 19% DI POSSIBILITA' IN PIU' DI ESSERE RICOVERATO PER SCOMPENSI CARDIACI

Una ricerca che porta come prima firma quella del dottorando in Statistica alla Bocconi Andrea Arfè potrebbe cambiare le abitudini di centinaia di migliaia di europei. Pubblicato dal British Medical Journal, lo studio osservazionale Non-steroidal anti-inflammatory drugs and risk of heart failure in four European countries: nested case-control study dimostra che chi fa uso di farmaci antinfiammatori non steroidei prescritti (Fans) ha il 19% di possibilità in più di essere ricoverato in ospedale per scompensi cardiaci.
 
La correlazione fra uso dei Fans e problemi cardiaci era già stata ipotizzata e in alcuni casi dimostrata. Il nuovo studio la quantifica e soprattutto offre stime di rischio per i singoli farmaci. Il report potrebbe avere ricadute normative: è stato infatti commissionato dalla Commissione Europea per conto dell’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, con un bando vinto dal consorzio Safety of non-steroidal anti-inflammatory drugs (Sos).
 
I Fans sono ampiamente utilizzati per la loro azione antinfiammatoria, analgesica e antipiretica. Quelli tradizionali, tra cui l’ibuprofene, agiscono inibendo indiscriminatamente l’azione di due co-enzimi, la cicloossigenasi o Cox 1 e 2. Quando ci si è accorti che l’inibizione della COX 1 portava a un aumento di rischi a livello gastrointestinale, sono stati sviluppati nuovi farmaci che inibiscono selettivamente la Cox 2, i cosiddetti Coxib. Sono poi emersi in letteratura sospetti che l’inibizione selettiva porti a rischi cardio-vascolari, da cui il bando emesso dalla Commissione Europea per studiare ad ampio spettro i farmaci antinfiammatori in commercio.
 
Sui ventisette farmaci inclusi nell’analisi, lo studio ha verificato che il rischio di ricovero in ospedale per scompensi cardiaci cresce per sette Fans tradizionali (diclofenac, ibuprofene, indometacina, ketorolac, naprossene, nimesulide, piroxicam) e per due inibitori della Cox 2 (etoricoxib e rofecoxib). “È questo il risultato più interessante”, commenta Arfè. “Abbiamo scoperto che non c’è distinzione tra Fans tradizionali e Coxib. Anzi, ad alcuni Fans tradizionali è associato un rischio di ospedalizzazione maggiore di alcuni Coxib. La correlazione, quindi, non dipende dalla classe, ma dal singolo farmaco. E in alcuni casi, l’aumento delle dosi comporta il raddoppio del rischio di ricovero. Ora i medici hanno uno strumento in più per decidere quali farmaci prescrivere”.
 
Lo studio è durato cinque anni. Venti ricercatori coordinati da Giovanni Corrao dell’Università degli Studi di Milano Bicocca hanno armonizzato ed elaborato le informazioni di cinque database contenenti dati relativi ai ricoveri ospedalieri: due italiani, che coprono l’intera regione Lombardia, uno tedesco, uno olandese e uno inglese. La storia degli individui che avevano fatto uso di Fans prescritti nei quattordici giorni precedenti il ricovero per scompenso cardiaco (età media 77 anni) è stata confrontata con quella di chi è entrato in ospedale per la stessa ragione senza essere stato in cura con quel tipo di farmaco.
 
Il percorso dello studio è iniziato quando Andrea Arfè aveva 25 anni. “È stato un po’ come essere buttato in piscina con l’acqua alta, senza saper nuotare”. Perito chimico, laureato in Statistica e gestione delle informazioni in Bicocca, con specializzazione in Biostatistica, Arfè ha sempre avuto l’ambizione di combinare aspetti matematici teorici e applicazione pratica. “È il motivo per il quale sono passato dalla facoltà di Matematica a quella di Statistica. Il PhD in Statistics in Bocconi, che ha un’alta componente metodologica e matematica, rafforza il mio percorso di ricerca. L’obiettivo, ora, è applicare gli strumenti metodologici in ambito medico ed epidemiologico».
 
Data l’ampia diffusione dei farmaci antinfiammatori, alcuni dei quali sono acquistabili senza ricetta medica, il report ha già attirato l’attenzione dei media europei, dalla Bbc ai principali quotidiani italiani. E chissà che un po’ di discussione non la provochino altri tre studi in fase di peer review curati dagli stessi autori e basati sulla medesima popolazione target. Lo scopo, questa volta, è verificare la correlazione fra uso dei farmaci antinfiammatori non steroidei e, rispettivamente, eventi gastro-intestinali (sanguinamento dei tratti gastrici superiori), infarto miocardico acuto e ictus.

di Claudio Todesco
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