Popolazione e produttivita': quando la secessione violenta e' una possibilita' realistica
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Popolazione e produttivita': quando la secessione violenta e' una possibilita' realistica

MASSIMO MORELLI, NELL'AMBITO DI UN PIU' AMPIO PROGETTO FINANZIATO DALL'ERC, HA SVILUPPATO UN MODELLO CHE EVIDENZIA LE FORZE CHE SPINGONO VERSO L'INDIPENDENZA IN REGIONI COME LA CATALOGNA E IL KURDISTAN

L'Impero romano e la Cecoslovacchia riuscirono a dividersi pacificamente in due parti, mentre i crolli dell'Unione Sovietica e della Jugoslavia furono accompagnati da sanguinosi conflitti sulla scelta di dividersi o restare insieme. Nei primi casi le due metà erano altrettanto grandi e ricche, con alcune differenze nelle norme sociali o nell'etnia. Nei secondi, le dimensioni e la ricchezza variavano molto, con le parti più ricche e produttive che sostenevano la separazione e le altre regioni che vi si opponevano.
 
Più in generale, è probabile che si verifichino secessioni pacifiche in presenza di gruppi di dimensioni e produttività simili, ma con preferenze culturali diverse. Il conflitto è, invece, un possibile risultato quando c'è una discrepanza tra la dimensione relativa e il contributo relativo in eccesso del gruppo minoritario, conclude un nuovo studio.
 

 
Per comprendere il processo secessionista, nell'ambito di un più ampio progetto finanziato dall’ERC, Massimo Morelli (Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali della Bocconi) e colleghi hanno sviluppato un modello di gioco dinamico in cui i gruppi differiscono per dimensioni, produttività economica e preferenze rispetto a beni pubblici come la cultura, la lingua, la legislazione o altre decisioni collettive legate all'identità.
 
Il gruppo al potere seleziona il bene pubblico e la distribuzione delle eccedenze e presenta al gruppo minoritario una proposta, che può essere l'unione, la secessione pacifica o il conflitto. Una secessione pacifica termina il gioco, mentre in caso di unione il gioco si ripeterà in futuro, con la minaccia di un conflitto che può indurre il gruppo dirigente a contrattare e a concedere maggiori trasferimenti alla minoranza. Mentre il gruppo al potere è per definizione soddisfatto dello status quo, il gruppo minoritario è incentivato a secedere quando è discriminato o contribuisce in misura sproporzionata all'eccedenza nazionale. Quando il divario tra dimensioni (piccole) e produttività (alta) è elevato, la contrattazione non funziona, e il conflitto può sorgere e durare a lungo.
 
All'estremo opposto, quando cioè la minoranza è molto numerosa e povera in termini di contributo, è il gruppo al potere che vorrebbe "spingerla fuori", applicando una strategia discriminatoria seguita da una guerra separatista.
 
Quando le dimensioni e la produttività sono più bilanciate, invece, o stare insieme è particolarmente prezioso perché è importante condividere il bene pubblico, nel qual caso lo Stato funzionerà come un'unione pacifica di gruppi, oppure, se le differenze culturali determinano differenze significative nelle preferenze culturali, ci si dovrebbe aspettare una divisione pacifica.
 
«Catalogna e Kurdistan sono importanti esempi recenti di situazioni in cui esiste un incentivo alla secessione (dimensione minoritaria ma gruppo produttivo) e in cui il processo di contrattazione sta cercando di evitare il rischio di conflitti», dice Morelli. «Nelle democrazie avanzate, gli stati dispongono di una maggiore forza giuridica e di una maggiore credibilità, il che rende più probabile la trasformazione di un incentivo alla secessione in una ricerca di rinegoziazione dei livelli di autonomia. Negli stati più deboli come l'Iraq, la differenza più importante è la difficoltà ad assumere impegni credibili per una condivisione delle eccedenze, il che aumenta leggermente la probabilità di conflitti».
 
Joan Esteban, Sabine Flamand, Massimo Morelli and Dominic Rohner, The Survival and Demise of the State: A Dynamic Theory of Secessions

di Fabio Todesco
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