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Appalti, maggiore discrezionalità non equivale a maggiore corruzione

, di Valentina Gatti
Un paper di Decarolis, Fisman, Pinotti e Vannutelli dimostra che l'introduzione di una maggiore discrezionalità nella selezione dei contraenti privati negli appalti si traduce in un aumento del rischio di corruzione solo in contesti già vulnerabili al problema

Le riforme del Codice degli appalti avviate nel 2008 con un correttivo al Codice, proseguite con l'adozione della direttiva europea sui contratti pubblici del 2014 e, più di recente, con la riforma del Codice del 2023 hanno introdotto una crescente discrezionalità nella scelta delle imprese private. Ma qual è stato il suo impatto su queste ultime, sui prezzi di aggiudicazione e sull'esecuzione dei contratti?

A gettare luce sul tema ci ha pensato il paper "Rules, Dicretion and Corruption in Procurement: Evidence from Italian Government Contracting", stilato da Francesco Decarolis (Università Bocconi, Dipartimento di Economia), Raymond Fisman (Boston University), Paolo Pinotti (Università Bocconi, Dipartimento di Scienze sociali e politiche) e Silvia Vannutelli (Northwestern University).

La discrezionalità negli appalti pubblici è limitata nelle procedure standard (aperte o ristrette), basate sul criterio del minor prezzo, soprattutto se condotte applicando l'esclusione automatica di offerte anomale. La discrezionalità invece cresce notevolmente con l'uso di procedure negoziate, che permettono una selezione mirata di imprese invitando solo alcune ad una gara non necessariamente annunciata pubblicamente, e nelle aggiudicazioni basate sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Nello specifico, la discrezionalità riguarda sia la definizione dei criteri e dei pesi per l'aggiudicazione, con il rischio di bandi "su misura", sia la valutazione di elementi soggettivi, come il valore artistico o la funzionalità dell'opera. In entrambi i casi, si rischia un uso distorto della discrezionalità, in primis attraverso la corruzione.

Secondo i dati raccolti da Decarolis et al., su 44 mila aziende vincitrici di appalti, 11 mila presentano segnalazioni di reati collegati alla corruzione, per un totale di 110 mila reati attribuiti a 55 mila persone. Occorre precisare che tale misura non indica la criminalità effettiva di un'impresa, ma funge da indicatore approssimativo di rischio per categoria di appalto e zona geografica, considerando la possibilità di errori di valutazione sulle singole aziende.

Il paper evidenzia una problematica significativa negli affidamenti tramite negoziazioni, ma solo se chiuse a gruppi selezionati di imprese, e in caso di adozione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Queste modalità aumentano di circa l'1,5% la probabilità che un'impresa i cui proprietari o manager risultano segnalati nel Sistema informatico interforze Ced-Sdi vinca l'appalto, indicando un maggiore rischio di corruzione. Tale incremento è rilevante, soprattutto considerando che il rischio medio di corruzione nelle gare di appalto si attesta tra il 12% e il 16% nel periodo analizzato.

L'analisi mostra anche che l'effetto delle procedure e dei criteri discrezionali varia significativamente a seconda della vulnerabilità istituzionale locale. I rischi infatti sono maggiori in presenza di aree soggette alla presenza di organizzazioni criminali, di funzionari pubblici attivi negli appalti già segnalati nello Sdi e di precedenti scandali di corruzione. Invece, l'incremento di discrezionalità non risulta problematico in comuni meno esposti a tali vulnerabilità.

Inoltre, i comuni con maggiore attività criminale utilizzano meno frequentemente procedure discrezionali, forse a causa di una maggiore attenzione da parte delle autorità e dei media. Di conseguenza, la prevalenza di imprese sospette di corruzione tra gli aggiudicatari in aree con forte presenza criminale deriva dai rischi legati a tali contesti, più che da un uso più frequente di tale discrezionalità in tali contesti.

In conclusione, l'introduzione di una maggiore discrezionalità nella selezione dei contraenti privati negli appalti non si traduce in un aumento generalizzato del rischio di corruzione, salvo che in specifici contesti già vulnerabili al problema. Infine, il paper dimostra che la concorrenza tra imprese consente allo Stato di beneficiare della discrezionalità e al contempo di limitare i rischi di abusi.
 

FRANCESCO DECAROLIS

Bocconi University

PAOLO PINOTTI

Bocconi University
Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche