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Il voto elettorale spiegato attraverso la teoria delle emozioni

, di Claudio Todesco
Uno studio di Carlo Altomonte spiega le ragioni del voto di protesta in alcuni paesi europei

L'origine del voto di protesta che in Europa premia le forze della destra nazionalista è incerto. Secondo alcuni osservatori, è frutto della crisi e dell'acuirsi delle diseguaglianze. Per altri, il fenomeno è strettamente legato a immigrazione e globalizzazione.
In Collective Emotions and Protest Vote, Carlo Altomonte, Gloria Gennaro e Francesco Passarelli studiano il caso del Regno Unito e invocano ragioni di tipo psicologico. Secondo la loro teoria comportamentale del voto di protesta, non conta la diseguaglianza economica in termini assoluti, ma la cosiddetta deprivazione relativa.
Il concetto è preso in prestito dalla psicologia sociale e misura la distanza percepita dagli individui fra il proprio reddito e quello dei concittadini più ricchi. «La crisi e la globalizzazione possono non avere cambiato il mio livello di benessere», spiega Carlo Altomonte. «Vedere però il vicino di casa che si arricchisce aumenta la mia deprivazione relativa e mi porta a votare tendenzialmente per partiti che promettono di cambiare le cose».
Eppure non vengono premiate forze che invocano politiche redistributive.
Evidentemente, la sola deprivazione relativa non basta a spiegare il fenomeno. Entra in gioco la teoria delle emozioni di gruppo, secondo la quale gli individui smettono di accettare lo status quo quando altri membri del loro gruppo vivono la stessa esperienza di deprivazione relativa. Altomonte, Gennaro e Passarelli trovano verifica della loro teoria nella crescita elettorale dello Ukip, che fra il 2010 e il 2015 è passato dal 3,1% al 12,6%.
Il consenso per il Partito per l'Indipendenza del Regno Unito è più alto nelle circoscrizioni in cui le persone interagiscono attivamente con la comunità locale e in cui si sperimenta un maggiore stato di deprivazione relativa rispetto alla parte più ricca della popolazione del paese. «Il voto di protesta», conclude Altomonte, «è frutto di un desiderio di vendetta nei confronti delle forze politiche tradizionali. Ha un costo, perché può portare a eleggere rappresentanti che non risolveranno i problemi o ad accordare la preferenza a forze che difficilmente entreranno in parlamento. Maggiore del costo è però il beneficio psicologico derivante dalla sensazione di avere agito per proteggere la propria comunità».

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