Quando l'azienda inganna i suoi stakeholder, parla in modo diverso
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Quando l'azienda inganna i suoi stakeholder, parla in modo diverso

UNO STUDIO DI ZOLLO E COAUTORI RIVELA CHE L'INGANNO DI UN'AZIENDA VERSO I SUOI STAKEHOLDER EMERGE DAL LINGUAGGIO DELLA SUA COMUNICAZIONE. E GLI STAKEHOLDER SPECIALIZZATI RIESCONO AD ACCORGERSI DI QUESTE SFUMATURE LINGUISTICHE

Le aziende spesso lanciano campagne di sostenibilità senza cambiare il loro comportamento di conseguenza. “Questo è un problema, perché l’azienda sa che cosa fa davvero, ma i suoi stakeholder no”, spiega Maurizio Zollo (Dipartimento di Management e tecnologia della Bocconi). Gli studi esistenti evidenziano l’asimmetria informativa come il motivo per cui gli stakeholder non si accorgono se le aziende attuano effettivamente queste pratiche. Gli stakeholder non sono quindi in grado di accorgersi se le aziende dicono una cosa ma ne fanno un’altra (o non fanno nulla), un fenomeno chiamato decoupling? L’intuizione che Zollo e i suoi coautori hanno avuto è che l’inganno dell’azienda potrebbe essere osservato non tanto nel contenuto della comunicazione, quanto nelle sue proprietà linguistiche.
 
Un articolo di Zollo, Donal Crilly (London Business School) e Morten Hansen (Berkeley) (The Grammar Of Decoupling: A Cognitive-Linguistic Perspective On Firms’ Sustainability Claims And Stakeholders’ Interpretation, in Academy of Management Journal, Volume 59, Issue 2, 705-729, doi: 10.5465/amj.2015.0171) trova che le aziende che attuano politiche coerenti e quelle non coerenti non si differenziano per il contenuto dei loro report, ma perché parlano in modo diverso quando descrivono i loro impegni sulla sostenibilità.
 
Gli autori si sono focalizzati su 12 multinazionali e hanno analizzato 119 interviste con dirigenti, 142 valutazioni di stakeholder esterni, e dati sull’adozione e implementazione di politiche e pratiche. Nello studio è stata adottata la prospettiva cognitivo-linguistica, che suggerisce che c’è una relazione tra il linguaggio e le rappresentazioni mentali di chi parla. In questo modo, si possono individuare differenze nel modo in cui gli individui esprimono i loro pensieri, anziché solo differenze in quello che dicono. Gli autori hanno quindi confrontato le aziende che attuano le politiche in modo costante (gli “implementatori”) e quelle che non lo fanno (i “decoupler”). “Dimostriamo che la differenza tra loro non è una questione di contenuto, non è quello che dicono, ma come lo dicono. Gli implementatori comunicano con un linguaggio attento e preciso, anziché usare un approccio comunicativo trionfalistico e semplificatorio”.
 
Ma perché alcuni stakeholder non riescono a vedere oltre queste affermazioni? Quello che Zollo e i suoi coautori trovano è che gli stakeholder specializzati, focalizzati su un singolo aspetto come ad esempio le Ngo, riescono a fornire valutazioni accurate. Gli stakeholder generalisti e quelli che ricevono finanziamenti dall’azienda, invece, non riescono a farlo, vuoi per mancanza di conoscenza specifica, vuoi per la debolezza degli incentivi a penetrare la cortina fumogena.
 
Una conclusione interessante che si può trarre da questo studio è che scoprire il decoupling non è solo un problema di asimmetria informativa tra aziende e stakeholder. Piuttosto, è difficile identificare quali sono le aziende che effettivamente fanno quello che promettono perché il contenuto delle comunicazioni delle imprese ingannatrici e degli implementatori è simile. Inoltre, gli stessi stakeholder hanno motivazioni diverse quando interpretano i dati. Tuttavia, aggiunge Zollo, “adottare una prospettiva cognitivo-linguistica può aiutare a prevedere, almeno in parte, i casi in cui le aziende fanno decoupling, e non solo quando si tratta di politiche di sostenibilità”.

di Paola Zanella
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