Il costo economico del distanziamento sociale
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Il costo economico del distanziamento sociale

DUE PROFESSORI DELLA BOCCONI STIMANO CHE IL PIL FRANCESE POTREBBE DIMINUIRE DEL 5,6% A CAUSA DELLE MISURE DOVUTE ALLA COVID. LE STESSE MISURE COSTEREBBERO IL 6,6% DEL PIL IN ITALIA, IL 5,7% IN GERMANIA, IL 5,5% NEL REGNO UNITO E IL 6,7% IN SPAGNA

Il distanziamento sociale si sta rivelando lo strumento più efficace - se non l'unico - per limitare il costo dell'epidemia di COVID-19 in termini di vite umane, ma ha un prezzo difficile da stimare in termini di calo del Pil.
 
Due professori della Bocconi, Basile Grassi e Julien Sauvagnat, e uno di HEC di Paris, Jean-Noël Barrot, hanno stimato le conseguenze economiche del blocco di 6 settimane imposto dalle autorità francesi in un calo annuo del Pil del 5,6%. Lo hanno fatto utilizzando un modello standard della rete di produzione, che tiene conto delle interdipendenze settoriali dell'economia francese. Le stesse misure avrebbero avuto costi diversi in paesi con una diversa composizione settoriale, sostengono, e stimano che la perdita di Pil - se gli altri governi avessero adottato le stesse misure francesi - sarebbe stata del 6,6% in Italia, del 5,7% in Germania, del 5,5% nel Regno Unito e del 6,7% in Spagna. Il Paese europeo più soggetto ai costi economici di distanziamento sociale si rivela essere la Bulgaria (con un calo del 9,2%), la Danimarca quello meno soggetto (-4,3%).
 
Gli autori iniziano stimando nel 52% il calo della forza lavoro attiva dovuto a chiusure imposte dall’amministrazione (ristoranti, alberghi, ecc.), chiusura delle scuole (che coinvolge non solo i dipendenti della scuola, ma anche i lavoratori con figli a carico) e regole di distanziamento (che permettono di continuare a lavorare solo a chi è in grado di farlo da remoto). Questo si traduce in diversi tagli alla produzione, a seconda delle caratteristiche di ogni settore e delle loro interdipendenze. Il modello utilizzato dagli autori tiene conto sia dell'elasticità di sostituzione tra i beni (cioè la risposta dei consumi delle famiglie) sia dell'elasticità di sostituzione dei consumi intermedi (cioè la risposta dei settori industriali).
 
Se il 5,6% è il calo della crescita totale del Pil, i settori sono colpiti in modo diverso. Oltre ai settori direttamente interessati dalle chiusure (turismo, ristorazione), quelli che registrano il calo più pesante sono i settori a monte, più distanti dalla domanda degli utenti finali.
 
Con il loro esercizio, i tre studiosi intendono fornire ai decisori politici uno strumento utile, seppur imperfetto, che possa rientrare nel cruscotto utilizzato per prendere decisioni sulle misure di distanziamento sociale. «Il nostro modello», chiariscono, «non considera il commercio internazionale, gli stabilizzatori automatici e le misure adottate dal governo per sostenere l'economia. Comunque, stiamo lavorando su questi ultimi due aspetti».
 
I responsabili politici potrebbero anche trarre dallo studio importanti suggerimenti per una strategia di uscita dal lockdown, in quanto gli autori eseguono una simulazione di ciò che potrebbe accadere se le misure venissero revocate in modo differenziato dopo 4 settimane invece che dopo 6. Far uscire dal lockdown alcune fasce d'età, regioni o settori prima di altri farebbe la differenza. In particolare, l'effetto economico più forte si registrerebbe facendo ripartire prima il settore delle costruzioni.
 


di Fabio Todesco
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