Franco Amatori nell'Olimpo della storia d'impresa
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Franco Amatori nell'Olimpo della storia d'impresa

E' IL PRIMO STUDIOSO DI UN'UNIVERSITA' NON AMERICANA AD AVERE RICEVUTO IL LIFETIME ACHIEVEMENT AWARD DELLA BUSINESS HISTORY CONFERENCE

La Business History Conference (BHC)  ha assegnato il Lifetime Achievement Award 2019 a Franco Amatori, il primo studioso europeo a ricevere il riconoscimento da quando è stato istituito nel 2002 (il primo vincitore fu il padre della business history, Alfred Chandler).
 
La cerimonia di consegna (v. immagine sotto) ha avuto luogo sabato 16 marzo a Cartagena (Colombia).
 
Il premio riconosce il contributo accademico allo sviluppo della storia d’impresa e l’impegno nelle attività della BHC, un’associazione attiva dal 1954 per incoraggiare le attività di ricerca e insegnamento della storia d’impresa.
 
Marchigiano di Ancona, laureato in scienze politiche nel 1973 a Firenze, Amatori ha cominciato a insegnare storia economica nella città natale e a lavorare per l’IFAP, l’Istituto di ricerche e formazione di direzione aziendale dell’IRI (“dove ho capito come funzionano le aziende e i processi tecnologici”, dice oggi), ma fa risalire la sua fortuna accademica al primo incontro, fortissimamente voluto, con Chandler, nel 1977 ad Harvard.
 
“Ero andato a Boston a perfezionare il mio inglese”, racconta, “ed ebbi la sfacciataggine di telefonargli per chiedergli un incontro. La mia fortuna fu che la sua segretaria, piuttosto arcigna, fosse in ferie e la sostituta, decisamente più morbida, prese l’appuntamento. Gli feci vedere i miei lavori e lui mi parlò a lungo. A causa del mio inglese ancora un po’ rudimentale e del suo modo di parlare, ostico per gli stessi americani, lo dovevo interrompere spesso, facendogli molte domande. Questo dovette colpirlo, perché qualche tempo dopo, in risposta a un potenziale finanziatore che chiedeva informazioni su di me, ammise di non conoscermi bene, ma scrisse di avere avuto l’impressione di una persona seria e determinata, che avrebbe diffuso la business history in Italia”. Dopo quell’incontro Amatori rimase a Boston ad approfondire gli studi di business history con Chandler e David Landes.
 
Amatori interpreta la metodologia di Chandler come una costruzione a strati: il primo racconta i motivi dello sviluppo delle singole imprese; il secondo si occupa dei settori; il terzo delle nazioni. “Ritornato in Italia”, spiega, “mi resi conto che mancavano i mattoni e mi misi a scrivere la storia delle imprese più rappresentative dei settori più importanti (Rinascente, Montecatini, Lancia e Fiat), poi della siderurgia italiana e dei distretti industriali marchigiani, prima di poter produrre una sintesi, nel 1999, in Impresa e industria in Italia dall’Unità a oggi, un volume recensito molto positivamente anche dalla Business History Review”. Il libro è firmato insieme ad Andrea Colli, l’allievo (oggi ordinario alla Bocconi) conosciuto nel 1989 su segnalazione di Marzio Romani per collaborare alla storia di Lancia (“la più bella e difficile della mia carriera”, dice Amatori).
 
L’ultima grande impresa scientifica in italiano di Amatori è la monumentale Storia dell’IRI, ideata insieme a Pierluigi Ciocca, di cui ha curato direttamente il secondo volume nel 2013 e che ha seguito come membro del comitato scientifico insieme a Luciano Cafagna, Valerio Castronovo e lo stesso Ciocca.
 
Alla Bocconi dal 1986, Amatori può vantarsi di aver fatto dell’Università un punto di riferimento per la business history italiana. Qui sono passati, o sono ancora attivi Francesca Polese, Veronica Binda, Mario Perugini, Valentina Fava, Daniele Pozzi, Giuseppe Berta e, naturalmente, Andrea Colli.
 
“Se è vero che Colli è mio allievo, è però vero che anch’io ho imparato da lui”, spiega Amatori. “Si è sviluppato un rapporto di società, in cui io sono il socio anziano, ma i casi della vita hanno voluto che, in alcuni momenti, si trasformasse in un rapporto simile a quello tra padre e figlio”.
 
Dalla fine degli anni ’70 l’inglese di Amatori è migliorato (“anche grazie a una moglie americana sposata proprio per questo”, scherza), tanto da farne il ministro degli esteri de facto dell’ASSI, l’Associazione studi storici sull’impresa che contribuì a fondare nel 1983 e ad animare da allora in poi, e da consentirgli una produzione scientifica che ne ha fatto un punto di riferimento internazionale (curioso il fatto che la comunità di Wikipedia gli dedichi una pagina nella versione inglese, ma non in quella italiana).
 
Nel 1980 ha iniziato a raccontare agli americani la storia dell’imprenditorialità in Italia con Entrepreneurial Typologies in the History of Italian Industry (1880-1960) e ci è tornato una trentina di anni dopo per chiarire che cosa fosse avvenuto nel frattempo in Entrepreneurial Typologies in the History of Italian Industry: Reconsiderations. Nel 1997, con Alfred Chandler e Takashi Hikino, ha curato Big Business and the Wealth of Nations, che compara lo sviluppo industriale in 12 paesi. È del 2011, con Andrea Colli, Business History: complexities and comparisons, un libro che la Economic History Review ha definito “an exceptionally good tool for teaching”. Grazie a queste opere è diventato membro onorario dell’American Historical Association, un’onorificenza riconosciuta solo a una novantina di studiosi dal 1885 a oggi.
 
Nonostante conti tra i suoi maestri anche David Landes e Franco Bonelli, Amatori si definisce “un chandleriano testardo”, attento ad osservare gli sviluppi della tecnologia e delle capacità organizzative che costituiscono la vera ricchezza delle nazioni. Nei suoi studi sull’Italia, ha puntato l’attenzione sul rapporto tra impresa e stato e sull’aspetto culturale che determina l’accettazione o meno del passaggio dal familismo all’universalismo, sorvolando un po’ sul terzo snodo che Chandler ritiene fondamentale, lo sviluppo di mercati dinamici, perché meno rilevante per l’Italia.
 
Ad Amatori rimane da realizzare, coordinandola, un’altra impresa scientifica collettiva, la verifica di quelle che, in letteratura, sono definite le Amatori-hypoteses sullo sviluppo dell’impresa europea, che si sarebbe dipanato intorno a quattro pilastri fondamentali (i cartelli, il family business, l’intervento attivo dello stato e la politicizzazione del movimento dei lavoratori) e sotto la pressione di tre ondate successive: l’americanizzazione seguita al Piano Marshall, l’affermarsi dell’Unione europea e la globalizzazione. “Dopo la crisi del 2008”, afferma Amatori, “i caratteri fondamentali sono tornati prepotentemente alla superficie”.
 
Nell’esporre la motivazione del premio, il presidente della commissione valutatrice, Kenneth Lipartito, ha sottolineato l’importanza di un impegno che si è concretizzato in monografie, raccolte, sintesi e curatele, menzionando la formazione alla Bocconi di un nucleo di storici d’impresa tra i più considerati a livello mondiale.
 
Nel suo breve discorso di accettazione, Amatori ha ricordato con gratitudine i suoi mentori Alfred Chandler, David Landes e Louis Galambos, chiedendosi se, con queste guide, avrebbe potuto fare di più. «È una domanda legittima», si è risposto, «ma questa è la vita e ciò che è fatto è fatto». Ha ringraziato la moglie Maggie, «che sa trasformare il fango del mio anglo-anconetano nell’oro di un perfetto inglese. Ha, infine, menzionato il rapporto speciale  con l’allievo, socio e coautore Andrea Colli, «un figlio più che un allievo – ma si sa che i figli crescono e Andrea non ha più bisogno di alcun padre».

di Fabio Todesco
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