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Una Milano in accomandita

, di Monika Poettinger
La forma societaria tra i segreti dello sviluppo nell'Ottocento

Lo sviluppo economico come disciplina autonoma dell'economia politica nasce nel Novecento dalle ceneri del positivismo economico. Persa la fiducia in un progresso economico che naturalmente si sarebbe esteso dai paesi occidentali al resto del mondo, si cercano nuove strade, ammettendo così il fallimento del liberismo nel creare sviluppo.

L'economia, insomma, non basta per trascinare i paesi del terzo mondo fuori dalla spirale di povertà. Per questo si definisce lo sviluppo economico come crescita accompagnata da cambiamenti istituzionali. Lo stato rientra come attore principale nella sfera economica con il compito di pilotare investimenti e ripartizione del reddito. Senza grandi risultati. Di sviluppo economico, già negli anni '70, si parla sempre di meno. Effettivamente mancava a queste teorie uno dei protagonisti principali: la società. Inutile parlare di sviluppo economico se a fianco di istituzioni e mercato non si include anche la struttura sociale. Questa determina i meccanismi di ripartizione del reddito, l'assegnazione del capitale, il rapporto tra risparmio e investimento, i consumi, la diffusione dell'imprenditorialità. La Milano ottocentesca, protagonista di uno sviluppo economico non determinato da una presenza statale ingombrante né dall'intervento distorsivo delle banche, costituisce un prezioso campo di ricerca per capire quanto le variabili sociali siano importanti, come nel mio paper Merchant Culture and Economic Development: Milan in the Nineteenth Century. Fino agli anni '80 dell'Ottocento l'economia milanese è caratterizzata dall'influenza del ceto mercantile, una vera e propria "tribù" capace di gestire la liquidità del sistema come di indirizzare gli investimenti verso impieghi innovativi. La base di questo sistema mercantile erano il venture capital, il credito fiduciario e la società in accomandita. La famiglia era ancora sinonimo di impresa. Quanto tutto questo fosse caratteristico di Milano rispetto al resto d'Italia lo conferma la netta preferenza per la forma societaria dell'accomandita per azioni. Negli anni tra il 1845 e il 1864 il rapporto tra accomandite per azioni e società per azioni fondate a Milano risulta almeno il triplo rispetto a città come Torino, Napoli e Genova. Tale differenza aumenta ancora nel caso si considerino esclusivamente società a vocazione industriale. Grazie all'accomandita il ceto mercantile milanese, infatti, intendeva non solo garantire gli investitori con la responsabilità dell'imprenditore, ma anche mantenere all'imprenditore stesso il controllo assoluto sulla sua impresa e una ripartizione degli utili che gli permettesse, in caso di successo, una rapida ascesa sociale. Al contrario di quanto implichi la storiografia di matrice chandleriana, per la quale società per azioni, borsa e banche di investimento sono il punto di arrivo di un processo evolutivo che garantisce una sempre maggior efficienza all'economia, il sistema mercantile milanese era perfettamente in grado di generare sviluppo economico, premiando le capacità imprenditoriali con la fondazione di una propria impresa e di una dinastia familiare e limitando allo stesso tempo fallimenti e frodi da parte di una gestione d'impresa non responsabile del suo operato. Di più: lo sviluppo economico che creato era solido ed equilibrato, al contrario di quanto avvenne in altre parti d'Italia a causa dell'intervento distorsivo di stato e banche e della diffusione eccessiva di società per azioni. Il mito della capitale morale nasce anche da qui, da quei valori mercantili che volevano la responsabilità del management, la guida imprenditoriale delle imprese, la meritocrazia nell'assegnazione del capitale, che aborrivano la speculazione come causa principale dell'instabilità dei mercati.

La Lombardia, che dall'Unità d'Italia traina lo sviluppo economico nazionale con un tessuto di imprese familiari, deve la sua struttura economica alla prevalenza del ceto mercantile nella Milano ottocentesca, alla capillare diffusione dei suoi valori dalla piccola bottega alle grandi assicurazioni, dai negozi di banca e seta alle grandi imprese meccanizzate. Senza il sostrato culturale di questa società mercantile tale modello di sviluppo economico risulta difficilmente replicabile senza incorrere in instabilità strutturali.