Capire la politica grazie al metodo dell'economia
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Capire la politica grazie al metodo dell'economia

GUIDO TABELLINI RACCONTA COM'E' NATA, E COME SI E' EVOLUTA NEL TEMPO, LA POLITICAL ECONOMICS, UN PROGRAMMA DI RICERCA CHE VUOLE SPIEGARE IL COMPORTAMENTO DI POLITICI ED ELETTORI CON GLI STRUMENTI DELL'ECONOMIA, NONCHE' EVENTUALI FALLIMENTI DI POLITICA ECONOMICA

La political economics osserva i fenomeni politici con le lenti metodologiche dell’economia, cercando di comprendere perché i decisori politici e gli elettori prendono decisioni che possono essere diverse da quelle ottimali per la società. Tra gli esponenti più attivi dell’approccio, che ha trovato estimatori in tutto il mondo, ci sono diversi studiosi italiani e Guido Tabellini, professore di Economia alla Bocconi dal 1994 e presidente dell’Econometric Society, è indicato come uno dei fondatori. Bocconi Knowledge gli ha chiesto di raccontare come sia nata, e si sia evoluta nel tempo, la political economics.
 
Anche nelle motivazioni del recente Premio De Santis per le Scienze Economiche, le viene attribuito il merito di essere tra i fondatori del campo di ricerca della political economics. Che cos’è?
 
In sostanza, si tratta di applicare le metodologie economiche allo studio dei fenomeni politici. Dagli anni ’80 a oggi, poi, questo programma di ricerca ha attraversato almeno tre fasi. In un primo momento ci siamo incentrati sull’analisi delle scelte di politica economica da parte dei politici. Siamo poi passati allo studio dell’effetto delle istituzioni politiche e delle costituzioni sulle scelte dei politici e all’analisi delle istituzioni democratiche in contrapposizione a quelle autocratiche. Più di recente, l’accento si è spostato sulle scelte degli elettori, incorporando anche aspetti di economia comportamentale.
 
Quali sono le metodologie economiche a cui fa riferimento?
 
Fino agli anni ’80 le scelte dei politici erano studiate dalla politologia o dagli esponenti della teoria della scelta pubblica di James Buchanan. Negli anni ’80, però, la scienza economica ha assistito a due grandi sviluppi: l’affermazione della teoria dei giochi e l’ipotesi delle aspettative razionali. Entrambe, e soprattutto se combinate per analizzare l’economia, ponevano un nuovo accento sulle aspettative degli individui: per crearsi aspettative sulla politica economica, gli operatori economici devono capire quali ne sono le determinanti e fare attenzione alle scelte dei politici.
 
Oggi si parla di political economy, ma il titolo del suo libro che, all’inizio degli anni 2000, faceva il punto su questa letteratura emergente si intitolava Political Economics. Perché?
 
Political economy è un’espressione usata da secoli, in un’accezione molto ampia, per definire l’economia classica, come veniva interpretata da Smith o Ricardo. Era una disciplina che affondava le radici nella filosofia morale e adottava metodologie molto distanti da quelle attuali. Quando la metodologia è stata affinata, soprattutto con l’uso della matematica e della statistica, il nome con cui si designa la disciplina è diventato “economics”. Nel libro scritto con Torsten Persson abbiamo preferito usare il termine economics per ricondurre il nostro programma di ricerca alla scienza economica moderna. Oggi non c’è più bisogno di questa sottolineatura, e talvolta si usa l’espressione political economy, che ha però nel frattempo assunto un connotato più ristretto rispetto a quello tradizionale.
 
Quando la sua ricerca ha cominciato ad affrontare i temi della political economics?
 
Direi da sempre, fin dalla mia tesi di PhD (all’UCLA con la supervisione di Axel Leijonhufvud e David Levine) sulla credibilità della politica monetaria. Poi sono stati fondamentali i primi lavori con Alberto Alesina su come la polarizzazione sociale e ideologica influisca sulle scelte intertemporali di politica economica e, di conseguenza, sul debito pubblico.
 
Quello della political economics sembra un programma di ricerca che deve molto agli studiosi italiani…
 
È vero, fin dall’inizio ha suscitato molto interesse proprio in Italia. Da una parte, perché in Italia c’è una grande tradizione di scienza delle finanze, da sempre attenta a questi aspetti. Poi, è un programma di ricerca che indaga come e perché le politiche reali si allontanino spesso da quelle più razionali. In un certo senso, analizza i motivi dei fallimenti di politica economica che, si potrebbe dire, qui sono stati più frequenti che altrove.
 
Anche la fase di analisi degli effetti delle istituzioni politiche è testimoniata da un libro con Torsten Persson, The Economic Effects of Constitutions.
 
Sì, ma è un libro molto diverso, con un’importante parte empirica, perché la metodologia si stava avvicinando sempre di più a quella della microeconometria.
 
Nei lavori più recenti, focalizzati sulle scelte degli elettori, emerge con prepotenza l’aspetto della cultura. In che termini?
 
Abbiamo osservato che la cultura può avere un’influenza determinante sulle scelte economiche, sociali e politiche degli individui. In particolare, si possono contrapporre sistemi di valore universalisti o comunitari. Questi ultimi concedono fiducia solo a una comunità molto ristretta, spesso la famiglia o una cerchia ristretta di persone con cui si interagisce spesso. Abbiamo osservato che questi sistemi di valore hanno due antecedenti: le istituzioni politiche passate – quanto più sono inclusive e democratiche, tanto più i valori sono universalisti anche dopo generazioni – e l’ambito delle interazioni economiche: quanto più le interazioni sono ristrette alla comunità locale, tanto più stentano a svilupparsi sistemi universalisti.
 
E quali fenomeni può spiegare questa distinzione?
 
Ad esempio, il diverso grado di tolleranza alla corruzione politica in diverse aree dell’Italia, con le culture più comunitarie che tendono a giustificare, e perciò a tollerare di più, tali comportamenti. Con Joel Mokyr della Northwestern University e Avner Greif di Stanford stiamo anche lavorando all’applicazione di questo schema alla divergenza storica di economia e istituzioni tra Cina ed Europa.
 
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Per saperne di più
 
Torsten Persson, Guido Tabellini, Political Economics, MIT Press, 2002.
 
Torsten Persson, Guido Tabellini, The Economic Effects of Constitutions, MIT Press, 2005.
 
Guido Tabellini, “Institutions and Culture.” Journal of the European Economic Association, Volume 6, Issue 2-3, 1 May 2008, Pages 255–294, DOI: https://doi.org/10.1162/JEEA.2008.6.2-3.255.
 

di Fabio Todesco
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