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Quel rapporto che crea incertezza

, di Claudio Todesco
Rapporto debito/pil, solo una riduzione rapida favorisce innovazione e ricchezza. I risultati di un paper di Mariano Massimiliano Croce

Il dibattito pubblico sull'austerità in Europa e negli Stati Uniti dopo la crisi del 2008 contrappone due visioni. Da una parte si sostiene che vadano adottate politiche fiscali orientate alla crescita, anche a discapito del contenimento della spesa pubblica. Dall'altra si afferma invece l'importanza della stabilizzazione del rapporto debito/Pil, come del resto stabilito dal Patto di stabilità e crescita sottoscritto dagli stati membri dell'Unione Europea. Secondo Mariano Massimiliano Croce, professore ordinario al Dipartimento di finanza che studia modelli di equilibrio economico generale in condizioni di incertezza, il dibattito non tiene conto della dimensione temporale. «Politiche fiscali che mirano a stabilizzare consumi e produzione possono compromettere la crescita nel lungo periodo», spiega. «L'aumento del rapporto fra debito pubblico e Pil per far fronte a crisi transitorie crea incertezza su come il governo pagherà il debito e quindi sulla pressione fiscale futura. Tale incertezza scoraggia gli investimenti in innovazione che contribuiscono al tasso di crescita nel lungo periodo». Croce e i co-autori del paper Persistent Government Debt and Aggregate Risk Distribution hanno testato empiricamente questo modello teorico utilizzando dati relativi a quindici Paesi, Italia compresa.

Hanno così verificato che, quando i governi sono particolarmente lenti nel ridurre il rapporto debito/Pil, nel medio-lungo periodo si registra una contrazione di produzione e consumi, si crea maggiore incertezza, aumenta la probabilità di un rallentamento della crescita. «Esiste un trade-off tra la stabilizzazione del ciclo economico e la crescita di lungo periodo. Bisogna perciò essere cauti nell'utilizzo di politiche fiscali che si ritiene siano espansive. La riduzione rapida del rapporto debito/Pil favorisce, invece, innovazione e ricchezza aggregata».

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