Il potere delle metafore rischia di sostenere i grandi poteri di Internet
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Il potere delle metafore rischia di sostenere i grandi poteri di Internet

DA QUANDO, NEL 1997, LA RETE E' STATA DEFINITA IL NUOVO LIBERO MERCATO DELLE IDEE DALLA CORTE SUPREMA AMERICANA, OGNI TENTATIVO DI REGOLAMENTAZIONE SI E' SCONTRATO CON LA TUTELA DELLE LIBERTA' DI ESPRESSIONE GARANTITA DAL PRIMO EMENDAMENTO. MA LO STRAPOTERE DELLE PIATTAFORME CAMBIA TUTTO, SOSTENGONO ORESTE POLLICINO E ALESSANDRO MORELLI, E LA METAFORA E' ORMAI SVIANTE

Anche in giurisprudenza, le metafore hanno una valenza costitutiva e, una volta affermatesi, condizionano a lungo il dibattito disciplinare e le decisioni delle Corti. In un paper di prossima pubblicazione su American Journal of Comparative Law, Oreste Pollicino (Università Bocconi) e Alessandro Morelli (Università Magna Graecia di Catanzaro) applicano al ragionamento giurisprudenziale le riflessioni su metafora e frame di riferimento sviluppate dal linguista George Lakoff per il discorso pubblico e arrivano a criticare, da un lato, gli orientamenti della Corte Suprema degli Stati Uniti sulla (mancata) regolazione di Internet e, dall’altra, ad invocare cambiamenti nella Direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico.
 
Fin dal 1997 (sentenza Reno vs. American Civil Liberties Union), la Corte Suprema ha utilizzato la metafora del libero mercato delle idee per definire Internet, tematizzando così la regolamentazione della rete come una questione di libertà di espressione. La metafora era stata usata per la prima volta nel 1919 in una dissenting opinion del giudice Oliver Wendell Holmes ad una decisione della Corte Suprema che riguardava l’espressione di idee anti-militariste e sottintendeva il fatto che, nella competizione in un libero mercato delle idee, anche le peggiori (e quindi anche quelle false) potessero avere cittadinanza, nella certezza che le migliori (e in fondo, la verità) avrebbero comunque prevalso.
 
«Dal 1997 in poi», spiega Pollicino, «ogni decisione sulla possibile regolamentazione di Internet, negli Stati Uniti, ha fatto riferimento al Primo Emendamento, che garantisce la libertà di espressione ed è di fatto sovraordinato a qualunque altra libertà». Deriva, allora, proprio l’utilizzo di una metafora, la linea giurisprudenziale seguita dalla Corte Suprema per oltre 30 anni.
 
«Da allora in poi, però», prosegue Pollicino, «le condizioni di contesto sono completamente cambiate e la metafora risulta essere sviante». Le grandi piattaforme attive in rete, infatti, hanno assunto un potere tale da controbilanciare, in molti campi, quello degli stessi Stati, senza essere inoltre condizionate da nessun confine geografico.
 
Le grandi piattaforme non possono più essere considerate attori come gli altri, che competono ad armi pari in un libero mercato delle idee e la tradizione giuridica americana, che fa valere la libertà di espressione solo in senso verticale (quando un privato la vede limitata da un potere pubblico) dovrebbe invece farla valere anche orizzontalmente, quando uno degli attori privati detiene un potere tale da poter essere paragonato allo Stato. Ancora nel 2017, però, nella sentenza Packingham vs. North Carolina i social network sono definiti il nuovo libero mercato delle idee, lasciando poco spazio alla speranza che tale mercato possa essere in qualche modo regolamentato (anche solo imponendo seri obblighi di rimozione del materiale fraudolento o pericoloso, come accade per esempio in Germania).
 
In Europa la situazione è più fluida, perché la tradizione giurisprudenziale prevede un certo bilanciamento tra i diversi diritti, ma le pressioni per adottare una visione vicina a quella americana sono comunque forti.  «Nel dibattito», afferma ancora Pollicino, «c’è un convitato di pietra: la direttiva 31 del 2000 che, agli albori del fenomeno dei social network, li parifica ai service o hosting provider di quegli anni, negando sostanzialmente ogni responsabilità sui contenuti postati. Alcune recenti legislazioni (o proposte legislative) dell’Unione europea su tutela antiterorristica, disciplina dell’audiovisivo e copyright stanno erodendo la direttiva, ma senza metterla direttamente in discussione. Forse è venuto il momento di farlo».
 
La strada giusta, secondo gli autori, potrebbe essere la tematizzazione della regolamentazione di Internet non come una questione di libertà di espressione, ma di libertà di iniziativa economica. «Quello che le piattaforme, in realtà, non vogliono fare», spiega Pollicino, «è cambiare il loro modello di business: il controllo dei contenuti è costoso e potrebbe scoraggiare alcuni dall’utilizzo delle piattaforme. Ma la libertà di iniziativa economica, per quanto tutelata, non è sovraordinata alle altre libertà in nessun ordinamento e dovrebbe, dunque essere controbilanciata dai diritti alla privacy, alla sicurezza, alla reputazione, alla tutela dei minori». Il concorso di idee è dunque aperto e la retorica della assolutizzazione dei diritti fondamentali spesso controproducente. Quale metafora consentirebbe di tematizzare la questione in questi termini? «Certamente l’importazione in Europa della metafora statunitense del free marketplace of ideas, decontestualizzandola dai paradigmi costituzionali che ne fanno da cornice (Libertà in Usa e dignità in Europa) può essere assai rischioso», conclude Pollicino.
 
Alessandro Morelli, Oreste Pollicino, Metaphors, Judicial Frames and Fundamental Right in Cyberspace, forthcoming in American Journal of Comparative Law.

di Fabio Todesco
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