Come blockchain puo' aiutare l'ambiente
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Come blockchain puo' aiutare l'ambiente

UNO STUDIO DI MIRIAM ALLENA IPOTIZZA UN SISTEMA PERVASIVO DI CONTROLLI AMBIENTALI BASATO SULLA NUOVA TECNOLOGIA, CHE CONSENTE AD ASSOCIAZIONI E PRIVATI DI AFFIANCARSI AL POTERE PUBBLICO NEL PROCESSO DI MONITORAGGIO

La blockchain, criticata in passato per l’enorme consumo di energia e le conseguenti emissioni di gas inquinanti, è diventata più eco-friendly perché, nelle sue forme tecnologicamente più avanzate e nella modalità chiusa (con un numero limitato di nodi), consuma una frazione dell’energia delle blockchain aperte, come quella che crea i bitcoin. Ma non solo: secondo uno studio di Miriam Allena di prossima pubblicazione su Environmental Law Review (la più antica rivista di diritto ambientale negli Stati Uniti) può anche aiutare l’ambiente e avvicinarci all’ideale di un diritto amministrativo sempre più partecipato e condiviso.
 
Lo studio ipotizza, infatti, un sistema pervasivo di controlli ambientali, compatibile sia con legislazione americana, sia con quella europea, basato proprio su blockchain.
 
«Blockchain è, in definitiva, un sistema di registrazione dei dati a validazione diffusa, che assicura quella che nel mio paper chiamo ‘notarized transparency’», dice Allena, «ovvero un sistema che restituisce dati trasparenti e validati». Nel recente passato se ne è ipotizzato l’utilizzo nel diritto privato e contrattuale, ma la sua applicazione al diritto pubblico sembrava problematica. Un recente periodo di ricerca alla University of California at Berkeley, a stretto contatto con informatici ed esperti di tecnologia, ha invece convinto Allena delle potenzialità dello strumento.
 
L’attuale sistema di controlli sulle attività private in materia ambientale (dalle emissioni nocive al rispetto degli standard) è concepito come pervasivo, ma si scontra con la mancanza di risorse e strutture. Un sistema basato su blockchain consentirebbe di coinvolgere cittadini ed associazioni, a garanzia della correttezza formale e della tempestività dei dati. «I sensori e i sistemi di raccolta dei dati già esistono», chiarisce Allena. «Con blockchain si avrebbe, in più, un sistema di validazione collettivo». Tutti i nodi non aziendali potrebbero, in altre parole, verificare che il dato sia formalmente corretto (nel caso delle emissioni, per esempio: sono stati misurati tutti i gas?) e reso pubblico nei tempi richiesti (e non solo quando si presentano condizioni favorevoli). La mancanza di uno di questi requisiti costituirebbe un campanello d’allarme, tale da giustificare verifiche ispettive mirate da parte delle pubbliche amministrazioni.
 
Il sistema supererebbe le carenze degli strumenti cosiddetti di command and control, da un lato, e di quelli di mercato dall’altro. Per quanto riguarda il primo caso, tra i nodi del network che validano i dati ci sarebbero anche associazioni ambientali, gruppi di cittadini e amministrazioni varie. Non trattandosi più di un controllo binario (regolato/regolatore), si supera il problema della cosiddetta cattura del regolatore. «Pensiamo a un’impresa fortemente inquinante, ma essenziale per l’economia di un territorio», spiega Allena. «Con il sistema attuale, anche quando si rendono conto del danno ambientale, i politici possono esitare a intervenire per non perdere consenso, ma con una blockchain e una molteplicità di attori coinvolti, la coscienza civile si solleverebbe più in fretta».
 
Per quanto riguarda gli strumenti di mercato, come le certificazioni ambientali, basate su un sistema di certificatori privati ma, di regola, retribuiti dallo stesso soggetto che vuole ottenere il certificato, la molteplicità degli attori attenua in modo determinante i rischi di collusione e consente di immaginare un sistema in cui è la collettività a certificare il possesso di determinati requisiti formali prescritti dalla legge.
 
Con il nuovo sistema l’amministrazione pubblica non perde il proprio ruolo, ma lo cambia: non è più il controllore unico, ma le spetta l’onere di rendere obbligatoria la registrazione su blockchain e sanzionarne la mancanza. La tecnologia, inoltre, non modifica la legislazione, ma la rende più efficace. «Alla base ci deve sempre essere una buona legislazione», commenta Allena, basti pensare al tema della trasparenza: «La blockchain è uno strumento che può rendere più trasparenti i dati laddove la legge preveda che gli stessi debbano essere resi pubblici. Da questo punto di vista in Europa, grazie alla Convenzione di Aarhus, siamo molto più avanti che negli Stati Uniti, dove le imprese possono far valere in modo molto più ampio la confidenzialità di alcune informazioni per opporsi alla ostensione dei dati ambientali».
 
Miriam Allena, Blockchain Technology for Environmental Compliance: Towards a “Choral” Approach, di prossima pubblicazione su Environmental Law Review.

di Fabio Todesco
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