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Il lockdown? Non era nei piani

, di Emanuele Elli
La pandemia non era del tutto inaspettata, eppure molti governi, tra cui quello italiano, si sono completamente discostati dai piani pandemici predefiniti

Con un titolo come Fallimento lockdown, il nuovo libro Egea firmato da Piero Stanig, docente di scienza politica, con l'economista Gianmarco Daniele, esprime fin dalla copertina le conclusioni a cui è giunta la ricerca dei due esperti. "Non siamo né biologi né epidemiologi, dunque il nostro non è un giudizio sui dettagli medico-sanitari della gestione della pandemia", spiega Stanig. "Noi abbiamo valutato e letto criticamente le scelte politiche messe in atto e il loro contorno di misure restrittive, le campagne mediatiche o la tenuta dei diritti individuali durante l'emergenza".

Lo studio prende il via dalla considerazione che, nonostante quanto si sia creduto durante questa pandemia, non si è trattato di un evento del tutto inaspettato, tanto che ogni paese ha un piano pandemico sempre pronto. Eppure, allo scoppio dell'epidemia da Covid-19, molti governi, tra cui quello italiano, se ne sono completamente discostati.

"La prima analisi che abbiamo svolto è stata proprio lo studio di questi piani, che avevano il vantaggio di essere molto chiari perché scritti non in un contesto di emergenza", rivela il docente. "In questi programmi ogni indicazione in merito alle fasi della pandemia, alla sua gravità, alle politiche da attuare, è analizzata singolarmente, valutando costi e benefici e considerando la sua sostenibilità da ogni punto di vista. Forse quello italiano non era il migliore, ma alcuni, tipo quello britannico che sembrerebbe essere stato adottato anche dalla Svezia, erano ben fatti. Rispettavano, in particolare, alcuni principi fondamentali, come quelli di proporzionalità, precauzione e flessibilità, che già da soli rendono evidente la distanza con quanto invece è stato poi messo in atto. Con il lockdown ha prevalso invece un approccio secondo il quale il virus doveva essere fermato a qualunque costo, dando così il via a una retorica del sacrificio come valore assoluto. Come se maggiori fossero le rinunce, maggiori i benefici, quando invece si sarebbe dovuto pensare alle soluzioni più efficienti, meno costose e impattanti, per ottenere lo stesso risultato".

La lettura storica restituisce insomma un contesto nel quale molte decisioni sembrano essere scaturite da reazioni istintive e irrazionali più che da una vera strategia: le zone rosse decise dopo aver visto i treni presi d'assalto alla Stazione centrale di Milano, le raccomandazioni della Croce Rossa cinese considerate più importanti dei principi guida dei piani occidentali stilati nei vent'anni precedenti. "Considero che questa sia un'operazione necessaria non per dare giudizi a nessuno, ma per evitare il pericolo che restino in circolo queste cattive abitudini", precisa Stanig.