La comunicazione di sostenibilita' e' vicina a un salto di qualita'
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La comunicazione di sostenibilita' e' vicina a un salto di qualita'

LE RICERCHE DELLA KPMG CHAIR IN ACCOUNTING MOSTRANO CHE NORME EUROPEE DI PROSSIMA EMANAZIONE CONTRIBUIRANNO A DIFFONDERE LA CULTURA DELLA SOSTENIBILITA' IN TUTTO IL TESSUTO PRODUTTIVO, IMPONENDO INOLTRE STANDARD RIGOROSI E CONDIVISI

L’introduzione dei report di sostenibilità ha già portato vantaggi alle imprese di tutto il mondo in termini di valore, reputazione aziendale e performance sociale. Paradossalmente, però, dove tale reportistica è stata resa obbligatoria (in Europa, per alcune tipologie di impresa) non si notano benefici di sistema superiori a quelli registrati negli Stati Uniti, dove l’adozione è puramente volontaria.
 
Gli studi della KPMG Chair in Accounting della Bocconi, coordinata da Annalisa Prencipe, aiutano a capire perché è ragionevole attendersi che i regolamenti sul corporate sustainability reporting avranno effetti positivi nel medio e lungo periodo.
 
A seguito del recepimento di una direttiva europea, le comunicazioni non finanziarie (non-financial disclosure) sono obbligatorie in Italia dal 2017 per gli enti di interesse pubblico che superino una certa soglia dimensionale. “Oggi,” ha spiegato Prencipe nel corso di un seminario di presentazione della ricerca della KPMG Chair, “le realtà interessate sono circa 11.000 in tutta Europa.”
 
Comparando l’evoluzione del comportamento in tema di efficientamento energetico di 741 società quotate in Europa e 835 società quotate negli Stati Uniti dal 2014 al 2020, lo studio di Prencipe (condotto insieme al coautore Marco Papa) non rileva discontinuità significative a favore dell’Europa dopo il 2017 in termini di adozione di policy di sostenibilità, di intensità energetica delle attività o di quota di energia rinnovabile sul totale dell’energia acquistata.
 
Secondo le analisi di Ariela Caglio, professoressa associata di Accounting alla Bocconi, però “nei paesi in cui la rendicontazione sociale non è obbligatoria, il corporate sustainability reporting viene adottato soprattutto dalle imprese più grandi, con una struttura proprietaria più diffusa e la presenza di investitori istituzionali, management e governance di qualità. In definitiva,” afferma la studiosa, “un identikit che si sovrappone in gran parte a quello delle imprese europee per cui la rendicontazione è diventata obbligatoria. Non dovrebbe stupire, allora, che i benefici risultino simili nei due sistemi.”
 

 
La grande novità normativa dei prossimi mesi sarà l’emanazione di una nuova direttiva che allargherà la platea delle imprese per cui la non financial disclosure è obbligatoria, portandola a circa 50.000 unità in Europa. “Ma non solo,” chiarisce Prencipe: “la direttiva impone anche l’adozione dei Sustainability Reporting Standard emanati dall’European Financial Reporting Advisory Group, sfoltendo così la giungla di decine di standard, e centinaia a livello globale, oggi in uso, e impone un’informativa più ricca, con obblighi crescenti di assurance, cioè l’avallo esterno da parte di un professionista certificato.”
 
L’adozione di uno standard condiviso è particolarmente importante “perché abbiamo verificato con una ricerca che, in assenza di standard, le imprese tendono ad adottare strategie volte a offuscare le cattive performance e ad enfatizzare quelle buone. Con la nuova normativa i fenomeni di green washing e social washing dovrebbero essere circoscritti.”

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L’allargamento della platea delle società obbligate contribuirà a portare la cultura della sostenibilità anche nelle imprese più piccole, coinvolgendo finalmente l’intera catena del valore, a monte e a valle delle grandi imprese che già utilizzano la reportistica. “Mi attendo che gli effetti positivi saranno evidenti nel giro di pochi anni,” dice Prencipe, “ma le imprese che non lo hanno già fatto dovranno essere accompagnate all’adozione della nuova reportistica. C’è necessità di nuove competenze e nuovi profili professionali, oggi ancora carenti nel mondo del lavoro. Diventa dunque fondamentale il ruolo della formazione di esperti di sostenibilità, a cominciare dagli studi universitari”.
 

di Fabio Todesco
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