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I tre gap del mercato italiano dei capitali

, di Andrea Costa
Stefano Caselli e Stefano Gatti rielaborano dieci anni di ricerca dell'Equita Research Lab e fanno il punto sulla strada ancora da percorrere per finanziare le imprese in modo efficiente

L'Italia è, purtroppo, ancora in ritardo rispetto ad altri Paesi avanzati per quanto riguarda lo sviluppo dei mercati del capitale e la cultura finanziaria in generale. Questo era ancor più vero dieci anni fa, quando è iniziata la collaborazione di ricerca tra l'Università Bocconi ed Equita, banca d'investimenti italiana. Il volume Capital Markets: Perspectives over the Last Decade, edito da Egea, che sarà presentato oggi da Stefano Caselli e Stefano Gatti, sintetizza i dieci anni di ricerca dell'Equita Research Lab.

L'Italia soffre in particolare di tre carenze, nella disamina di Stefano Caselli e Stefano Gatti. Per prima cosa, il mercato del capitale è poco sviluppato e ci sono troppo pochi investitori nazionali che acquistino i titoli delle imprese italiane (investor gap, come viene definito dagli autori). In secondo luogo, c'è una eccessiva dipendenza delle imprese, soprattutto di media e piccola dimensione, dal credito bancario tradizionale (financing gap). Infine, il ruolo delle banche di investimento italiane all'interno del mercato dei capitali italiano è troppo limitato rispetto a quello dei grandi intermediari internazionali (intermediation gap).

Questo è il contesto in cui negli ultimi anni anche l'Unione europea ha iniziato a spingere per una maggiore efficienza a livello continentale, secondo il principio che i mercati del capitale e la finanza di impresa sono strumenti di importanza fondamentale per il rilancio dell'Eurozona. In altri termini, la crescita e il consolidamento dell'economia reale non può essere disgiunto da un mercato dei capitali più efficiente e veramente integrato per l'intera Eurozona.

Dopo la crisi del 2008, molte banche hanno opportunamente provveduto a rafforzare la propria solidità patrimoniale, e sono oggi in condizione di rispondere molto meglio ad eventuali crisi future. Un analogo processo però deve essere intrapreso anche dalle aziende italiane, soprattutto quelle più vulnerabili.



"Più capitale significa più opzioni a propria disposizione, grazie a un sistema finanziario solido, ben organizzato e integrato. Meno capitale e un sistema finanziario meno solido e integrato significano esporsi al rischio di crisi future, che richiederebbero nuovi interventi pubblici e dunque nuovo debito. Non possiamo permettercelo," dice Stefano Caselli.

"Il senso della collaborazione tra la Bocconi ed Equita è rilanciare la cultura del mercato dei capitali," ricapitola Stefano Gatti. "Abbiamo visto con soddisfazione che non poche tra le raccomandazioni che abbiamo espresso in questi anni sono state riprese anche dalle istituzioni, ad esempio nel Libro Verde del MEF sulla competitività dei mercati finanziari italiani a supporto della crescita. Siamo quindi ben lontani dallo stereotipo dell'accademia fine a sé stessa: qui la ricerca è al servizio delle istituzioni e della società."