Le macchine sostituiscono anche impieghi creativi
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Le macchine sostituiscono anche impieghi creativi

NEGLI USA ENTRO DIECI ANNI IL 47% DELLA FORZA LAVORO SARA' A RISCHIO, IN ITALIA ADDIRITTURA IL 56%, SPIEGA UN PAPER DI ALFREDO BIFFI. E NON SOLO NELL'ATTIVITA' FISICA DI ROUTINE

Per secoli, le tecnologie che hanno sollevato l’uomo dalla fatica del lavoro hanno contribuito a generare altro lavoro, a volte con un effetto-volano. «Da una decina d’anni a questa parte, però, le nuove tecnologie non riescono più a produrre questo effetto e le competenze create non compensano i posti di lavoro persi». Lo afferma Alfredo Biffi, professore affiliato di Information systems presso SDA Bocconi School of Management, autore di un paper sul tema di prossima pubblicazione e già presentato al convegno internazionale sulla quarta rivoluzione industriale tenutosi in marzo a Trento. Biffi ha anzitutto lavorato sulle percezioni. Dai colloqui con 750 manager, direttori del personale, neo laureati ed esperti della tematica, emerge che più dell’85% degli intervistati è consapevole di quel che sta accadendo e afferma che le macchine non sostituiscono più solo l’attività fisica di routine, ma erodono la parte più creativa del lavoro. Il 55% degli intervistati è convinto che lo sviluppo tecnologico non porterà maggiore felicità. I numeri proposti da alcune ricerche internazionali sono effettivamente impressionanti. Secondo i noti dati raccolti da Michael Osborne e Carl B. Frey dell’Università di Oxford relativamente a 700 diversi impieghi, entro dieci anni il 47% della forza lavoro americana sarà a rischio, un numero che sale al 56% per quanto riguarda l’Italia.

I ricercatori del McKinsey Global Institute affermano che almeno la metà dei lavori attuali sarà automatizzato entro l’anno 2050. «Anche i posti di lavoro che non spariranno dovranno essere ripensati», dice Biffi. «La domanda non è: lavoreremo o meno? La domanda è: come ci manterremo in un mondo a bassa intensità di lavoro? La rivoluzione tecnologica ci darà cinque, forse dieci o quindici anni per definire modelli di sviluppo economico diversi da quelli a cui siamo abituati. Una nota di speranza: in questo quadro, i giovani hanno l’opportunità di progettare il proprio lavoro purché investano sulle soft skill e sulla comprensione delle logiche di funzionamento delle macchine».

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di Claudio Todesco
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