La politica commerciale dell'Unione Europea aiuta lo sviluppo degli Stati terzi?
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La politica commerciale dell'Unione Europea aiuta lo sviluppo degli Stati terzi?

ANNA DE LUCA ILLUSTRA LE OPZIONI POLITICHE PER L'UNIONE EUROPEA NELLA NEGOZIAZIONE DEI TRATTATI SUGLI INVESTIMENTI ESTERI DIRETTI

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, avvenuta il 1° dicembre 2009, l’Unione Europea ha visto ampliarsi la propria sfera di competenze in materia di politica commerciale sino a ricomprendere anche il tema degli investimenti esteri diretti. Benché la corretta delimitazione delle competenze esclusive dell’Unione nella materia degli investimenti sia oggetto di discussione con gli Stati membri (come illustrato in De Luca, “The Legal Framework for Foreign Investments in the EU: The EU Internal Market Freedoms, the Destiny of Member States’ BITs, and Future European Agreements on Protection of Foreign Investments”, in L. Trakman e N. Ranieri, Regionalism in International Investment Law, Oxford University Press, 2013, pp. 120-161), i trattati internazionali con Stati terzi che disciplinano gli investimenti esteri diretti devono oggi essere negoziati e stipulati dall’Unione Europea, e non più dai singoli Stati membri.

Ciò, tuttavia, non si risolve in un mero spostamento di competenze ed anzi fa sorgere l’esigenza di soffermarsi sulla questione irrisolta del bilanciamento tra la protezione degli interessi degli investitori, da un lato, e la salvaguardia delle prerogative degli Stati riceventi gli investimenti, dall’altro. Inoltre, in virtù del mandato contenuto nel Trattato sull’Unione Europea, secondo il quale tutta l’azione esterna dell’Unione deve essere improntata alla promozione di valori quali la democrazia, lo Stato di diritto, la protezione dell’ambiente e della salute, lo sviluppo sostenibile, si pone il tema di come i trattati conclusi con Stati terzi possano perseguire anche tali obiettivi “non commerciali”.

Di questi argomenti si è occupata Anna De Luca, ricercatrice presso il Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università Bocconi, in un convegno tenutosi nel novembre 2012 a L’Aja sotto l’egida dell’Asser Institute, del Centre for the Law of EU External Relations (CLEER) e dell’Università di Amsterdam, con una relazione intitolata “Integrating non-trade objectives in the oncoming EU investment policy: What policy options for EU?” (in corso di pubblicazione in T. Takács, A. Dimopoulos e A. Ott (a cura di), “Linking trade and non-commercial interests: the EU as a global role model?”, CLEER Working Papers, 2013).

Nel proprio intervento, De Luca ha anzitutto illustrato le posizioni espresse dalla Commissione Europea, dal Consiglio dell’Unione e dal Parlamento Europeo in merito ai principi a cui si dovrebbe ispirare l’azione dell’Unione Europea in questa nuova area di competenza.

In particolare, De Luca ha messo in luce la convergenza tra Commissione e Consiglio sul fatto che la protezione garantita agli investitori dai nuovi trattati dovrebbe essere almeno pari, se non superiore, a quella in precedenza assicurata dai trattati conclusi dai singoli Stati membri, mentre il Parlamento ha evidenziato che i trattati in passato conclusi dagli Stati membri erano, per certi versi, troppo sbilanciati a favore degli investitori. Le posizioni, poi, si differenziano anche in merito alla promozione dei principi “non commerciali”, in cui si discute dell’opportunità di fare rinvio alle linee di comportamento in materia di responsabilità sociale delle imprese multinazionali elaborate in seno l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE).

Un primo esempio dell’azione dell’Unione in questo ambito è rappresentato dalle linee guida fornite dal Consiglio alla Commissione Europea per la negoziazione dei trattati con Canada, India e Singapore, che hanno fornito lo spunto ad Anna De Luca per alcune riflessioni sul tema della salvaguardia della potestà legislativa spettante agli Stati che ricevono gli investimenti, quando il suo esercizio si rifletta sugli interessi degli investitori. Su questo argomento, infatti, si è concentrato un ampio dibattito, anche alla luce della giurisprudenza arbitrale formatasi in materia, e con esso è destinata ad intrecciarsi anche la questione della protezione degli interessi “non commerciali”.



di Marco Garavelli
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