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Tutto in famiglia, ma non sempre

UNA NUOVA RICERCA DI CENNAMO, CORBETTA E DUE COLLEGHI RIVELA QUANDO LA NOMINA DI UN AMMINISTRATORE DELEGATO DI FAMIGLIA È UNA BUONA SCELTA DAL PUNTO DI VISTA FINANZIARIO E QUANDO NON LO È. MA INVITA A FARE ATTENZIONE: GLI INDICATORI FINANZIARI NON SONO TUTTO

Nominare un amministratore delegato (a.d.) di famiglia può rivelarsi un vantaggio o uno svantaggio per le aziende familiari, a seconda dell’ambiente in cui operano. Negli ambienti in cui prevalgono le regole informali, come i distretti industriali, un a.d. di famiglia migliora i risultati finanziari dell’azienda, mentre in contesti come il mercato azionario, in cui regole formali e trasparenza sono essenziali, un amministratore delegato di famiglia finisce per avere effetti negativi sulla performance.

Carmelo Cennamo e Guido Corbetta (Dipartimento di Management e Tecnologia) traggono questa conclusione in un articolo scritto con Lucia Naldi (Jönköping Business School) e Luis Gomez-Mejia (Texas A&M University): Preserving Socioemotional Wealth in Family Firms: Asset or Liability? The Moderating Role of Business Context (di prossima pubblicazione su Entrepreneurship Theory and Practice). Gli autori suggeriscono, però, che l’effetto negativo di un a.d. di famiglia sui conti delle società quotate non dovrebbe essere considerato l’unica misura degli effetti di una simile decisione: un a.d. di famiglia svolge anche un ruolo rilevante per il raggiungimento di obiettivi che la famiglia considera importanti e che la letteratura accademica riunisce sotto l’etichetta di ricchezza socioemozionale (socioemotional wealth, SEW): mantenere il controllo e sul funzionamento e la proprietà dell’azienda; perpetuare la dinastia familiare, assicurandosi che il business passi di generazione in generazione; sostenere l’immagine e la reputazione della famiglia.

Non tutte le aziende familiari sono uguali e questo studio segna il passaggio dalla comparazione tra aziende familiari e non familiari (il procedimento standard della ricerca passata) alla comparazione tra aziende familiari con caratteristiche diverse. Gli autori ipotizzano che la scelta di preservare la SEW con la nomina di un amministratore delegato di famiglia migliori la performance finanziaria quando c’è corrispondenza tra gli obiettivi di SEW della famiglia e la logica istituzionale che prevale nell’ambiente e peggiori la performance quando non c’è tale corrispondenza. Utilizzando un database di tutte le aziende familiari italiane con fatturato superiore ai 50 milioni di euro, gli autori confrontano la redditività delle vendite (Return on Sales, ROS) delle imprese familiari con un a.d. di famiglia e di quelle con un a.d. esterno, prima tra le aziende che operano in un distretto industriale (l’esempio perfetto di un contesto in cui prevalgono logiche informali), poi tra quelle quotate in borsa (l’ambiente formale per eccellenza). Si registra un effetto positivo, forte e significativo della presenza di un a.d. di famiglia sul ROS delle aziende dei distretti industriali e un effetto negativo, forte e significativo per le imprese quotate, a dimostrazione del fatto che “gli a.d. di famiglia possono rivelarsi una risorsa nella gestione di alcuni stakeholder esterni come la comunità locale, ma un peso nei rapporti con altri stakeholder, come gli investitori di borsa”.

Così non deve sorprendere che la quota di a.d. di famiglia sia maggiore tra le imprese che operano nei distretti (48%) che tra quelle quotate (38%). Tuttavia, la scelta delle aziende familiari quotate che nominano a.d. di famiglia non deve essere giudicata troppo severamente se si tengono in considerazione gli altri benefici in termini di SEW che un a.d. di famiglia comporta.



di Fabio Todesco
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