Che cosa dicono le clausole contrattuali nel private equity
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Che cosa dicono le clausole contrattuali nel private equity

UN ARTICOLO DI STEFANO CASELLI, CON IPPOLITO E GARCIAAPPENDINI, DIMOSTRA CHE LE CLAUSOLE RIVELANO INFORMAZIONI SULLA SOCIETA' TARGET NON DIRETTAMENTE OSSERVABILI DAGLI INVESTITORI E COLLEGATE CON LE PROSPETTIVE DI CRESCITA DELLA SOCIETA'

Le caratteristiche dei contratti negli investimenti in private equity sono cruciali per valutare il valore delle società target. In tal senso, maggiore è il numero di covenants nel contratto di acquisizione, migliore è la qualità percepita della target company. Questo è probabilmente il risultato più sorprendente di Contracts and Returns in Private Equity Investments, un articolo di Stefano Caselli (Dipartmento di Finanza), Filippo Ippolito (Universitat Pompeu Fabra), ed Emilia Garcia-Appendini (University of St. Gallen), pubblicato sul Journal of Financial Intermediation (Volume 22, Issue 2, April 2013, doi: 10.1016/j.jfi.2012.08.002).

Nonostante la crescente importanza dei fondi d’investimento private equity per l'economia, c'è scarsa evidenza empirica sulla relazione tra la struttura dei contratti e i rendimenti degli investimenti nelle società acquisite. Tale disconnessione appare ingiustificata, considerando come le caratteristiche dei contratti nel private equity possono influenzare la redditività dell'investimento stesso. In effetti, ci sono diversi aspetti dei contratti come la scelta dei diritti di voto, opzioni di liquidazione, e la nomina degli amministratori nel consiglio di amministrazione della società target. Ciascuno di questi aspetti ha verosimilmente un impatto sulla redditività della società acquisita. Nella maggior parte dei casi, la definizione di questi termini si esprime in clausole incluse nel contratto al momento dell’investimento.

Nel loro articolo, gli autori mostrano come la natura e il numero delle clausole contrattuali sia in grado di agire come segnale per identificare buone opportunità di business nell’ambito dell’investimento in private equity. In particolare, un maggior numero di clausole è generalmente associato con rendimenti più elevati dell’investimento, a prescindere dalla misura utilizzata. La relazione sembra essere guidata da taluni tipi di clausole contrattuali, come i diritti di permesso di trasferimento, e, in misura minore, dei diritti di prelazione e diritto di riscatto sulle quote della società target. Questa evidenza è coerente con l'idea che le imprese con migliori prospettive sono disposte a subire clausole più restrittive, data la minore probabilità di essere vincolate dalle clausole stesse. In poche parole, la presenza di covenants agisce come un segnale sulla qualità dell’investimento. Lo stesso vale per il numero di amministratori interni nominati come forma di controllo sulle imprese target. L'idea è che amministratori vicini alla società acquirente sono nominati quando la necessità di un controllo è maggiore, generando una relazione negativa tra l'investimento e la forza dei legami tra amministratore nominato e fondo d’investimento. Gli autori sostengono questa ipotesi dimostrando che esiste un’associazione negativa tra la nomina di amministratori interni e la redditività dell’investimento stesso.

Il contenuto informativo dei covenants ha diverse implicazioni importanti per gli investitori in private equity. La scelta delle clausole contrattuali rivela informazioni sulle imprese acquisite che altrimenti non sarebbero osservabili, per esempio, usando variabili contabili. Secondo gli autori, in sostanza, le imprese segnalano le loro migliori prospettive per i potenziali investitori, accettando clausole contrattuali più restrittive e maggiori in numero rispetto alla media. Allo stesso modo, il rapporto tra la nomina di amministratori e rendimenti degli investimenti stessi può trasmettere informazioni rilevanti che non sono generalmente contenute in fonti pubbliche.



di Daniele Bianchi
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