Se l'impresa impara a fare piu' cose i risultati sono migliori
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Se l'impresa impara a fare piu' cose i risultati sono migliori

DUE LAVORI DI GIANMARIO VERONA AIUTANO A COMPRENDERE IL PARADIGMA DELLE DYNAMIC CAPABILITIES E A MISURARE LA FLESSIBILITA' STRATEGICA

Il cambiamento strutturale che ha caratterizzato l’economia globale negli ultimi vent’anni ha portato molti studiosi di management a intravedere, tra le altre cose, anche un sostanziale cambiamento della strategia competitiva d’impresa. La strategia competitiva rappresenta l’insieme delle decisioni di medio-lungo termine che manager e imprenditori prendono a livello di business unit - ovvero a livello di singolo prodotto e mercato. In quanto tale, la strategia competitiva è centrale nella creazione del vantaggio competitivo e, conseguentemente, nella creazione di valore economico, finanziario e sociale.

Nel passato più remoto (anni Settanta e Ottanta), la ricerca nel campo del management ha evidenziato come tali scelte dipendessero prevalentemente dalle caratteristiche strutturali dei settori - questa ricerca è oggi etichettata “Paradigma Struttura-Condotta-Performance”. Nel passato a noi più vicino (anni Novanta), le condizioni di crescita di molte industrie e la crescente globalizzazione dei mercati hanno posto la qualità delle competenze maturate dalle singole aziende quale punto focale delle scelte strategiche - la ricerca è in questo caso ricordata con il nome “Paradigma Resource-Based View”. La scarsità di risorse e la costante tensione finanziaria dei mercati che si è andata a manifestare negli anni più recenti ha messo in profonda discussione entrambi gli approcci strategici. La realtà empirica aziendale è difatti ben fotografata da aziende alla costante ricerca di flessibilità e di innovazione per guadagnare credito finanziario e reputazionale rispetto ai mercati.

Con il nome “Dynamic Capabilities” si è quindi affacciata una terza via che interpreta la strategia competitiva d’impresa attraverso la ricerca di competenze “dinamiche” che permetterebbero alle aziende percorsi strategici e organizzativi più flessibili per sostenere il vantaggio competitivo e la creazione di valore tramite l’innovazione. Ma in cosa consistono le competenze dinamiche?

In due lavori recentemente pubblicati in Strategic Management Journal e Organization Science con due diversi team di co-autori, Gianmario Verona (Dipartimento di Management e Tecnologia)propone prima una critica al dibattito teorico sulle competenze dinamiche e poi offre una soluzione empirica per comprenderne il significato ed effettuarne una misurazione puntuale.

Con Margie Peteraf (Tuck School of Business at Dartmouth) e Giada Di Stefano (HEC Paris), il paper The Elephant in the Room of Dynamic Capabilities (Strategic Management Journal, 2013, 34, 12: 1389–1410, doi: 10.1002/smj.2078) evidenzia le principali contraddizioni che stanno caratterizzando la teoria emergente delle dynamic capabilities. Grazie a un’analisi bibliometrica, gli autori, da un lato, evidenziano come il dibattito oramai quindicennale sia sorprendentemente caratterizzato da una limitata analisi empirica e da un eccesso di conversazione teorica. Dall’altro, illustrano come il dibattito teorico sia polarizzato rispetto a due visioni contrapposte, una economica e una sociologica, che partono da assunti differenti e propongono visioni opposte del costrutto “competenza dinamica”. Illustrano anche le implicazioni della presenza di questi due college invisibili, che non permettono un dialogo costruttivo come invece è avvenuto per i precedenti paradigmi strategici e in generale per altre teorie dominanti – quali la teoria dell’agenzia e la teoria dei costi di transazione.

Con Christian Stadler (Warwick Business School) e Connie Helfat (Tuck School of Business at Dartmouth), il paper The Impact of Dynamic Capabilities on Resource Access and Development (Organization Science, 2013, 24(6):1782-1804, doi: 10.1287/orsc.1120.0810) analizza un campione di 244 imprese quotate appartenenti al settore petrolifero nel periodo 1993-2006 – periodo caratterizzato, tra l’altro, da un importante shock legato al prezzo del petrolio. Controllando per una serie di variabili, gli autori dimostrano come le aziende caratterizzate da una performance superiore nell’intero periodo analizzato abbiano messo in campo un’attività costante non solo di exploitation (sfruttamento dei pozzi petroliferi legati a giacimenti tradizionali), ma anche di exploration (identificazione di nuove aree). Questo è stato possibile grazie a investimenti incrementali nelle tecnologie preposte a queste due attività – rilevate dagli autori con dati primari ottenuti con micro survey ai responsabili dell’upstream oil investment. Evidenziano quindi come lo studio delle competenze dinamiche possa fruttuosamente basarsi su studi empirici analitici finalizzati a disvelare i singoli processi innovativi alla base della flessibilità strategica.



di Gianmario Verona
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