Corte Suprema: l'ideologia dei giudici influenza anche le decisioni sulla finanza
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Corte Suprema: l'ideologia dei giudici influenza anche le decisioni sulla finanza

MARCO VENTORUZZO E JOHANNES FEDDERKE HANNO CONDOTTO UNA RICERCA EMPIRICA SULLE DECISIONI DELLA CORTE SUPREMA STATUNITENSE DAGLI ANNI '30 AL 2011

E’ abbastanza facile intuire che, quando un giudice sia chiamato ad assumere una decisione in certe materie delicate e dibattute (come diritti civili, aborto o libertà di parola) e siano possibili diverse interpretazioni, il suo processo decisionale possa essere influenzato dal suo retroterra sociale, economico, culturale e politico: in una parola, dalla sua “ideologia” o dalla sua “linea politica”. Marco Ventoruzzo (Dipartimento di studi giuridici e Pennsylvania State University Law School) e Johannes W. Fedderke (Penn State School of International Affairs) hanno affrontato la questione se l’“ideologia” dei giudici della Corte Suprema statunitense possa influenzare anche le loro decisioni nel campo, altamente tecnico, della regolamentazione dei mercati finanziari, riscontrando una correlazione tra le loro “posizioni politiche” (variamente definite e misurate) e l’orientamento espresso nella votazione delle decisioni della Corte.

Nel loro recente articolo intitolato “Do Conservative Justices Favor Wall Street? Ideology and the Supreme Court’s Securities Regulation Decisions” (in corso di pubblicazione sulla Florida Law Review e recentemente discusso nel Harvard Law School Forum on Corporate Governance), Ventoruzzo e Fedderke hanno condotto una ricerca di carattere empirico che ha sollevato un vivace dibattito negli Stati Uniti e in Europa.

L’articolo si colloca in un filone di ricerca piuttosto consolidato specialmente nei sistemi di common law, dove i giudici sono spesso nominati attraverso procedimenti di carattere più o meno politico, anziché selezionati tramite esami meramente tecnici. Ciò accade ovviamente anche per i giudici della Corte Suprema, che sono designati dal Presidente e sono confermati dal Senato. Lo studio di Ventoruzzo e Fedderke, però, è il primo a concentrare l’analisi sul settore della disciplina dei mercati finanziari.

Provocatoriamente, si potrebbe dire che Ventoruzzo e Fedderke hanno verificato l’ipotesi per cui i giudici “conservatori” sono più scettici circa l’intervento del legislatore e la regolamentazione, confidando nell’efficienza del mercato, e sono quindi inclini ad assumere decisioni più favorevoli ai convenuti (sono cioè “pro-imprese”), mentre i giudici “liberali” tendono ad enfatizzare i possibili fallimenti del mercato e la necessità di maggior protezione per i risparmiatori e di più efficaci poteri di vigilanza regolamentare e sanzionatori per la Securities and Exchange Commission (sono cioè “pro-investitori”).

Gli Autori hanno raccolto e catalogato tutte le principali decisioni nel campo del diritto dei mercati finanziari adottate dalla Corte Suprema dagli anni ’30 al 2011, classificando ognuna di esse come “pro-imprese” o “pro-investitori”. Utilizzando, poi, diverse metodologie per misurare l’ideologia dei giudici della Corte Suprema, elaborate da scienziati della politica e economisti, nonché altri metodi da essi stessi sviluppati, hanno valutato il grado di correlazione intercorrente tra la posizione dei giudici della Corte Suprema nell’arco politico e i voti espressi nell’adozione delle decisioni della Corte.

L’articolo discute inoltre di interessanti questioni metodologiche e giuridiche, offrendo anche una panoramica storica su oltre ottant’anni di giurisprudenza della Suprema Corte nel settore della disciplina dei mercati finanziari.

I risultati dello studio - che peraltro comprende anche altre analisi empiriche, ad esempio sulla possibile influenza delle condizioni dell’economia in generale sulle decisioni della Corte - confermano l’ipotesi di partenza: vi sono, quindi, riscontri sul fatto che anche nelle decisioni della Corte Suprema statunitense sulla disciplina dei mercati finanziari, almeno in certi casi, la “politica” e le preferenze di “linea politica” contano.

Vi sono due avvertenze importanti. In primo luogo, il fatto che l’“ideologia” dei giudici possa essere rilevante non implica alcuna connotazione negativa. Ciò non significa, infatti, che i giudici pieghino le norme al fine di pervenire a risultati prestabiliti; semplicemente significa che, quando più interpretazioni, tutte legittime, sono possibili, differenti “visioni del mondo” possono portare a decisioni diverse. Fintantoché sia assicurata una composizione eterogenea della Corte, questo può portare ad una disamina più completa delle questioni. In secondo luogo, anche se l’articolo dà conto di una correlazione significativa, questa correlazione non spiega del tutto il comportamento dei giudici: vi sono casi indipendenti da tale correlazione che confermano, se mai fosse necessario, la notevole indipendenza e il prestigio della Corte Suprema statunitense e dei suoi componenti.



di Marco Garavelli
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