Il ciclo di adozione delle innovazioni
SCIENZE POLITICHE |

Il ciclo di adozione delle innovazioni

COMPAGNI E MELE, IN UN PAPER CON RAVASI, STUDIANO IL CASO DELLA CHIRURGIA ROBOTICA IN ITALIA E CONCLUDONO CHE LE PRESSIONI AD ADOTTARE LE INNOVAZIONI SI PRESENTANO A STADI DIVERSI DEL CICLO DI ADOZIONE E DIFFERISCONO A SECONDA DEL TIPO DI UTILIZZATORE

Non possiamo dare per scontato che le innovazioni si diffondano solo perché sono dotate di valore intrinseco o solo perché sono ritenute alla moda. Al contrario, si diffondono a causa dell’interazione tra questi fattori. Gli early adopters sono disposti a correre il rischio di fallire perché cercano di costruirsi uno status come utilizzatori esemplari. Essi riducono l’incertezza per gli altri utilizzatori condividendo la propria esperienza e sottolineando i benefici della tecnologia e favoriscono dunque altre adozioni. Le pressioni coercitive dei pazienti e di altri utilizzatori inducono infine adozioni generalizzate.

Amelia Compagni e Valentina Mele (Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico) traggono queste conclusioni in un articolo scritto con Davide Ravasi (Cass Business School): How Early Implementations Influence Later Adoptions of Innovation: Social Positioning and Skill Reproduction in the Diffusion of Robotic Surgery (di prossima pubblicazione su Academy of Management Journal, anteprima online, doi: 10.5465/amj.2011.1184). L’articolo si basa su una ricerca qualitativa sulla diffusione in Italia della chirurgia robotica, che è stata ampiamente adottata anche se si trattava di una tecnologia costosa, difficile da introdurre e senza prove evidenti dei suoi benefici.

Gli autori hanno condotto 191 interviste, corrispondenti a 1.116 pagine di trascrizione, analizzato 425 articoli scientifici o giornalistici sull’introduzione della tecnologia, letto documentazione ospedaliera e guardato 105 video online. Su questa ampia base gli autori hanno costruito dapprima una cronologia della diffusione della chirurgia robotica, compresi tutti gli eventi più importanti, e sono poi scesi al livello organizzativo. Hanno osservato come le motivazioni che hanno spinto gli ospedali all’adozione variassero nel corso del tempo e hanno stabilito quale posizione sociale ricoprissero metaforicamente gli ospedali. Infine hanno intervistato anche chi non ha adottato la tecnologia per comprenderne le motivazioni.

Il risultato dell’analisi è che gli early adopters hanno introdotto la tecnologia perché era in linea con la loro cultura organizzativa di apertura o per costruirsi uno status da utilizzatore esemplare. La probabilità di fallimento delle prime adozioni era alta e molti ospedali hanno abbandonato la tecnologia. Gli ospedali alla ricerca di uno status, però, hanno continuato a sperimentare e hanno attivamente disseminato le proprie nuove conoscenze, sottolineando i benefici della tecnologia. Ciò ha ridotto i rischi di introduzione e spinto altri ospedali periferici ad adottare la tecnologia, allo scopo di migliorare il proprio status, ancora con esiti misti. A un certo punto, però, i media hanno cominciato a parlare positivamente della tecnologia e i pazienti ad accettare solo la chirurgia robotica e a questo punto molti ospedali hanno pensato di doverla necessariamente adottare per non perdere legittimità e competitività.

I risultati indicano che le nostre conoscenze sull’assunzione e la diffusione delle innovazioni sono lacunose. Esse non si diffondono semplicemente per il loro valore intrinseco, la legittimazione ottenuta o per il fatto di essere alla moda; queste pressioni si manifestano, invece, a differenti stadi del ciclo di adozione e differiscono a seconda del tipo di utilizzatore.

Per i manager che devono commercializzare prodotti dai benefici incerti, lo studio sottolinea il ruolo importante degli utilizzatori periferici, che sono quelli che hanno più da guadagnare da un’introduzione di successo e sono disposti a correre rischi più alti pur di essere i primi.

Il progetto di ricerca ha condotto anche alla pubblicazione di Governing through Evidence: A Study of Technological Innovation in Health Care di Valentina Mele, Amelia Compagni e Marianna Cavazza sul Journal of Public Administration Research and Theory.



di Peter Snoeren
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