Provaci ancora! Ecco la dimostrazione che la mano calda esiste

Provaci ancora! Ecco la dimostrazione che la mano calda esiste

JOSHUA MILLER E ADAM SANJURJO, GRAZIE A UN NUOVO ESPERIMENTO, RIBALTANO UNA CONVINZIONE ACCADEMICA, MOSTRANDO CHE LA CONVINZIONE POPOLARE CHE I BUONI RISULTATI TENDANO A SUSSEGUIRSI L'UN L'ALTRO NON E' SBAGLIATA

Per la letteratura scientifica la mano calda (hot hand) è la tendenza a ottenere buoni risultati tutti insieme o l’impressione che un buon risultato sia più probabile dopo una striscia di buoni risultati.

La tendenza delle persone a credere nella mano calda, anche quando non è presente, è spesso usata per spiegare anomalie comportamentali nei mercati finanziari, nel mondo dello sport, nelle case da gioco e nella gestione dei fondi speculativi. I circoli scientifici definiscono questa tendenza “la fallacia della mano calda”.

È interessante notare che l’origine della fallacia della mano calda, nonché la prova più evidente dei costi del suo impatto sul processo decisionale, si trova nella pallacanestro. L’articolo scritto nel 1985 da Thomas Gilovich, Robert Vallone e Amos Tversky (GVT), in cui si usano dati provenienti dalle partite di pallacanestro e da esperimenti controllati di tiro, dimostra che gli allenatori, i giocatori e i tifosi sbagliano a credere che alcuni giocatori tendano a scaldarsi e abbiano più successo dopo i primi risultati favorevoli.
Un esperimento sul campo fatto da Joshua Miller (Dipartimento di Scienze delle Decisioni) e Adam Sanjurjo (Universidad de Alicante) e riassunto nel working paper A Cold Shower for the Hot Hand Fallacy, torna sulla fallacia della mano calda e prova che non è una falsa credenza. Usando una loro elaborazione statistica, Miller e Sanjurjo arrivano a una conclusione sorprendente: la mano calda è evidente anche nei dati di GVT.

All’esperimento di Miller e Sanjurjo hanno partecipato giocatori esperti di squadre semiprofessionistiche spagnole. L’invito dei due autori era a uno studio sulle percentuali di tiro con incentivi economici. Gli atleti avevano in media circa 24 anni e partecipavano alle competizioni semiprofessionistiche da 14 anni. L’esperimento è stato fatto sul campo dove i partecipanti giocano la maggior parte delle loro partite.

L’esperimento è stato suddiviso in due parti, eseguite una sei mesi dopo l’altra. Nella prima parte Miller e Sanjurjo hanno verificato se i singoli giocatori mostrassero una mano calda e se tale effetto fosse evidente in media, considerando i giocatori nel loro complesso.

Nella seconda parte dell’esperimento i ricercatori hanno verificato se i giocatori con una mano calda nella prima parte evidenziassero lo stesso effetto nella seconda parte e se l’effetto medio si riproponesse.

Miller e Sanjurjo trovano l’effetto mano calda significativo sia nella prima parte dell’esperimento sia nella seconda.  Trovano anche che i tiratori mano calda nella prima parte continuano ad averla nella seconda parte. Inoltre, i risultati di un questionario, in cui i compagni di squadra stilavano una classifica dei tiratori mano calda basandosi solo sull’esperienza di allenamento e delle partite, ha predetto con precisione il manifestarsi dell’effetto mano calda nel corso dell’esperimento. Si evince così che i giocatori non solo hanno ragione a credere nella mano calda, ma sono anche in grado di distinguerla.

Usando una nuova strategia empirica per analizzare i migliori dati disponibili provenienti dal loro esperimento, dall’articolo di GVT e da un altro studio meno noto, Miller e Sanjurjo ci fanno vedere che, contrariamente a quanto affermato in 30 anni di ricerca, esiste un sostanziale effetto mano calda.

di Bojana Murisic
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