Good Bye, Ricardo! Una sfida alle teorie tradizionali sul commercio internazionale
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Good Bye, Ricardo! Una sfida alle teorie tradizionali sul commercio internazionale

IL PROGETTO ERC DI GIANMARCO OTTAVIANO DIMOSTRA CHE IL MODO IN CUI IL COMPORTAMENTO ETEROGENEO DELLE SINGOLE AZIENDE E' INTRODOTTO NEI MODELLI DI COMMERCIO INTERNAZIONALE INFLUISCE SULLA STIMA DEI COSTI E DEI BENEFICI DEL PROTEZIONISMO

Il caso della Brexit mostra che gli effetti degli interventi protezionistici dei governi possono essere stimati in modo inadeguato. I risultati preliminari di un progetto di Gianmarco Ottaviano finanziato dall'ERC suggeriscono che parte della colpa potrebbe essere attribuita ai modelli di commercio internazionale utilizzati per prevedere gli effetti di una restrizione dei flussi commerciali.
 
“I modelli tradizionali di commercio internazionale tendono a ignorare il fatto che le aziende non sono tutte uguali,” spiega Ottaviano, Achille and Giulia Boroli Chair in European Studies alla Bocconi. “Quando introduciamo tale eterogeneità, gli esiti dei modelli cambiano e si avvicinano di più alla realtà.” Nel caso della Brexit, prevedono una maggiore inflazione.
 
La caratteristica rilevante dei modelli tradizionali è una visione semplificata della domanda dei consumatori e delle interazioni tra le aziende, tale per cui tutte le imprese si comportano allo stesso modo, formando il prezzo dei loro prodotti tramite un markup omogeneo, a volte nullo, sui loro costi unitari. Nel mondo reale, tuttavia, alcune imprese sono migliori di altre e possono applicare markup più elevati senza perdere clienti; i markup possono anche aumentare quando la pressione della concorrenza si allevia.
 
Nel caso della Brexit, ad esempio, i modelli più utilizzati prevedono solo la parte dell'inflazione dovuta all'aumento del prezzo dei beni importati, ma non la parte dovuta al diverso comportamento delle aziende: poiché un paese che reintroduce dazi e dogane diventa meno attraente per le aziende straniere, la pressione competitiva sulle aziende locali diminuisce e queste possono aumentare i loro markup. Con una concorrenza più debole, inoltre, sopravvivono anche aziende meno efficienti, con costi e prezzi più alti, alimentando così ulteriormente l'inflazione.

  
 
 
Quando descrive il suo progetto ERC “MIMAT: From micro to macro: Aggregate implications of firm-level heterogeneity in international trade,” Ottaviano riecheggia il film Good Bye, Lenin!
 
David Ricardo è l'economista che ha gettato le basi per le teorie del commercio internazionale nel 1817, sviluppando la teoria dei vantaggi comparati, secondo cui i paesi possono trarre vantaggio dal partecipare al commercio internazionale anche se sono più efficienti degli altri nella produzione di tutti i beni: dovrebbero continuare a produrre i beni in cui il loro vantaggio è più forte e acquistare dall'estero i beni in cui il loro vantaggio è più debole.
 
Inoltre, come evidenziato dagli economisti svedesi Eli Heckscher e Bertil Ohlin, i paesi con una maggiore disponibilità di lavoro dovrebbero specializzarsi nella produzione di beni ad alta intensità di lavoro, mentre i paesi con una maggiore disponibilità di capitale dovrebbero specializzarsi nella produzione di beni ad alta intensità di capitale.
 
“Fino al 1970, gli economisti del commercio internazionale hanno fondamentalmente perfezionato e migliorato le teorie di Ricardo e Heckscher-Ohlin,” dice Ottaviano, “ma poi il campo si è scisso in due. Parte degli studiosi ha continuato a realizzare modelli macroeconomici, ma qualcuno è passato alla microeconomia. L'idea è modellare il comportamento di più agenti economici eterogenei, ad esempio le aziende, e aggregare i risultati per descrivere il comportamento dell'intero sistema. Questa vivace agenda di ricerca, però, ha ricevuto un duro colpo nel 2012, quando Costas Arkolakis (Yale), Arnaud Costinot (MIT) e Andrés Rodríguez-Clare (Berkeley) hanno dimostrato che, date “ragionevoli” ipotesi, i due tipi di modelli sono osservazionalmente equivalenti, ossia possono produrre gli stessi risultati aggregati, specialmente in termini di benessere.”
 
Il progetto di Ottaviano indaga se tali ipotesi siano davvero "ragionevoli" e se l'equivalenza persiste anche nel caso di presupposti empiricamente fondati alternativi, con eterogeneità delle aziende.
 
“Se l'equivalenza persiste,” spiega, “siamo fermi al 1970. Quindi, immaginiamo un economista del commercio internazionale ibernato nel 1970, che si svegli oggi e chieda che cosa è cambiato in 50 anni. Il progetto MIMAT vuole convincerlo che qualcosa è cambiato e non siamo tornati al punto di partenza.”
 
Uno degli obiettivi è capire che cosa succede quando la realtà si discosta, anche solo leggermente, dalle ipotesi di Arkolakis, Costinot e Rodríguez-Clare (ACR). La misconcezione di ciò che sarebbe successo nel Regno Unito dopo la Brexit è un esempio lampante. Ottaviano ha lavorato su questo argomento con Thierry Mayer (Sciences Po), Marc Melitz (Harvard), Davide Suverato (ETH Zurich) e due ricercatori post-doc: Nevine El-Mallakh e Badis Tabarki. Un altro post-doc, Nurye Melisa Bilgin, ha raccolto dati rilevanti.

I ricercatori di MIMAT. Ottaviano è il secondo da sinistra


 
Una seconda parte del progetto cerca di rispondere a una domanda semplice, ma importante: “Se i modelli di commercio internazionale, da Ricardo in poi, implicano che l'approccio del laissez-faire (che lascia che il mercato funzioni senza interventi governativi) sia ottimale, perché il protezionismo è la regola e il laissez-faire l'eccezione?” Antonella Nocco (Università del Salento) e Matteo Salto (Commissione europea) stanno lavorando con Ottaviano su questo argomento.
 
Se l'ipotesi di un markup costante viene abbandonata, ad esempio, il laissez-faire non è più ottimale, perché le migliori aziende possono applicare markup più elevati e produrre meno, ottenendo così profitti più alti. Queste e simili deviazioni dai modelli tradizionali legittimano politiche antitrust e di commercio internazionale.
 
 
In un'altra parte del progetto, Ottaviano esplora come la distribuzione dell'efficienza tra le aziende di diverse dimensioni influisca sulla capacità di esportazione dei paesi. Insieme a Giorgio Barba Navaretti (Università degli Studi di Milano), Matteo Bugamelli (Banca mondiale) ed Emanuele Forlani (Università di Pavia), identifica gli effetti dell'eterogeneità microeconomica sulla performance macroeconomica delle esportazioni. Lo fa sfruttando le relazioni tra le dimensioni dei mercati e i flussi commerciali bilaterali, in modo dimile alle equazioni gravitazionali che spiegano l'attrazione differenziale tra pianeti di diverse masse situati a diverse distanze l'uno dall'altro.
 
 
La letteratura scientifica ha già esplorato il tema dei cambiamenti nella teoria del vantaggio comparato quando viene introdotta eterogeneità nella produttività delle imprese in presenza di markup costanti. La conclusione: l'eterogeneità amplifica i vantaggi comparati. Se un paese ha un vantaggio comparato in un settore, ad esempio tessile, nuove aziende tendono a entrare nel settore e si può osservare un effetto di selezione: la concorrenza tra le aziende aumenta e solo le migliori aziende, quelle con la massima efficienza, sopravvivono e prosperano.
 
Con Hanwei Huang (City University of Hong Kong), Ottaviano ha analizzato la stessa situazione nel caso in cui i markup delle aziende non siano costanti. “E abbiamo osservato forze che tirano in direzioni opposte,” dice. “Immaginiamo che le barriere commerciali cadano. Le aziende straniere tenderanno a entrare sul mercato da paesi in cui l'effetto di selezione non è avvenuto. Con una tale diluizione, le aziende locali forti possono aumentare ulteriormente i loro markup, ottenendo così profitti più alti ma riducendo il vantaggio comparato nazionale. “Questo ha importanti implicazioni per come possiamo effettivamente misurare il vantaggio comparato dai dati.”
 
 
Le ricerche condotte attraverso i finanziamenti ERC possono essere determinanti nello sviluppo di nuove idee, e questo è il caso di MIMAT. Ottaviano, insieme ai colleghi della Bocconi Italo Colantone e Piero Stanig, sta studiando le esternalità del commercio internazionale e come la politica industriale può contrastare tali esternalità. “Delocalizzare la produzione di chip, ad esempio, può essere la scelta economica migliore, ma i paesi occidentali stanno realizzando che comporta una minaccia per la sicurezza. La razionalità delle politiche di commercio internazionale deve quindi essere valutata secondo un insieme multiplo di parametri economici e non economici.”

Nell'immagine di apertura, David Ricardo ritratto da Thomas Phillips

di Fabio Todesco
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