Se gli esperti non bastano, la solidarieta' e il senso del dovere possono salvare la situazione
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Se gli esperti non bastano, la solidarieta' e il senso del dovere possono salvare la situazione

IL CASO DEI PROFESSIONISTI DEL SETTORE MEDICO MESSI ALLA PROVA DALLA PANDEMIA COVID MOSTRA QUALI STRATEGIE POSSONO ESSERE ADOTTATE QUANDO LE COMPETENZE, LE CONOSCENZE E L'ESPERIENZA NON POSSONO ESSERE D'AIUTO

Durante la prima parte della pandemia COVID-19, gli ospedali e i sanitari hanno vissuto una situazione di sconvolgimento senza precedenti. Non solo è stato necessario ricoverare una parte di popolazione così grande, ma i protocolli esistenti e persino le conoscenze dei medici erano impotenti per curare una malattia che nessuno aveva mai visto prima. Nel loro ultimo articolo, apparso sull’Academy of Management Journal, Amelia Compagni e Giulia Cappellaro, insieme ad Amit Nigam (University College of London), studiano come i medici hanno affrontato una situazione di smarrimento mai sperimentata prima, in cui le loro competenze mediche, le loro conoscenze e la loro esperienza non offrivano un aiuto risolutivo nel trovare un modo per gestire l'emergenza.
 
Tuttavia, gli autori hanno constatato come i medici, facendo leva sulla solidarietà e sul senso del dovere, hanno messo in atto una serie di strategie positive che stanno continuando a condizionare la loro capacità di fornire assistenza ai pazienti anche dopo la pandemia.
 
In molte professioni, la conoscenza è una delle determinanti più importanti della struttura sociale, che assegna prestigio, rango e remunerazione. In molti casi, le nuove teorie e le nuove scuole di pensiero possono creare un notevole scompiglio sia negli ambienti accademici che in quelli professionali. I sostenitori delle nuove teorie si scontrano con la resistenza della vecchia guardia, provocando un cambiamento degli equilibri preesistenti. Tutti questi fenomeni sono stati ampiamente documentati da sociologi e studiosi di management. Tuttavia, pochissima attenzione è stata dedicata a quei momenti in cui i professionisti sono chiamati all'azione in momenti in cui il patrimonio di conoscenze preesistenti non può aiutare a superare le crisi attuali.
 
Nel caso del COVID-19, i medici non disponevano di informazioni che potessero aiutarli a trovare una cura adeguata. Con l'aumento del numero di decessi, medici e infermieri si sono sentiti senza speranza e angosciati, il che avrebbe potuto facilmente portare a ulteriore apatia in una professione in cui i protocolli, la formazione e le pratiche abituali impongono l'impersonalità, l'obiettività e una rigida separazione emotiva tra medici e pazienti.
 
Tuttavia, studiando un grande archivio di documenti, corrispondenza e interviste relativi all’Italia, gli autori hanno scoperto che i medici hanno mutato notevolmente le loro abitudini per adattarsi a un ambiente in cui le conoscenze precedenti non erano utili come in passato. La gravità della crisi ha suscitato sentimenti di solidarietà e senso del dovere nei sanitari oggetto dello studio. Cercando di essere utili nonostante la mancanza di conoscenze sulla malattia, i medici si sono impegnati in un ventaglio più ampio di attività orientate al servizio, rivolte ai pazienti e alla gestione generale dell'ospedale, come il mantenimento della corrispondenza con le famiglie. Man mano che la dipendenza dalle conoscenze mediche diminuiva, la rigida divisione gerarchica tra giovani professionisti e medici affermati diventava meno netta e le decisioni terapeutiche venivano prese insieme a medici appartenenti a diverse specializzazioni. Inoltre, la barriera di impersonalità preesistente tra medici e pazienti è venuta meno, dando vita a una maggiore interazione emotiva tra le due controparti.
 
Compagni, Cappellaro e Nigam hanno quindi riscontrato che, una volta che i medici si sono resi conto dei limiti delle loro conoscenze sulla COVID-19, non hanno necessariamente ripiegato sull'apatia e sul distacco emotivo necessari per far fronte alla paura e all'impotenza. Al contrario, hanno potuto far leva sui loro sentimenti di cura, solidarietà ed etica del lavoro per mettere in atto nuove strategie positive che sono notevolmente diverse dai modelli comportamentali preesistenti e sembrano persistere anche dopo che la crisi è passata. L'impersonalità ha lasciato il posto a un rapporto medico-paziente più umano ed empatico. La parziale scomparsa delle differenze di anzianità ha portato a un ambiente sinergico che può trarre vantaggio dalla collaborazione di professionisti in fasi diverse della loro carriera. Infine, anche le barriere tra le specializzazioni mediche sono state sostanzialmente abbattute, consentendo un processo diagnostico più collegiale con il contributo di molteplici campi di ricerca medica.
 
Amelia Compagni, Giulia Cappellaro, Amit Nigam, “Responding to Professional Knowledge Disruptions of Unmitigable Uncertainty: The Role of Emotions, Practices, and Moral Duty among COVID-19 Physicians.” In-Press, Academy of Management. DOI: https://doi.org/10.5465/amj.2022.0697
 

di Umberto Platini
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