Perche' la deterrenza americana puo' non funzionare
NEWS |

Perche' la deterrenza americana puo' non funzionare

IN UN MONDO PIENO DI REGIMI BENE ARMATI E IMPREVEDIBILI, FARE IL MUSO DURO E' PIU' PERICOLOSO CHE MAI

Iraq, Afghanistan, Libia, la storia americana anche recente è ricca di esempi nei quali l’intervento diretto in un conflitto ha prodotto conseguenze peggiori dei fatti stessi che lo hanno generato. Alla presidenza USA, tuttavia, a volte è sufficiente una dichiarazione per mutare l’equilibrio delle forze in campo. “Anche solo la minaccia di un intervento da parte degli Usa in un contesto di guerra produce effetti rischiosi”, conferma Livio Di Lonardo, docente di Scienza Politica.
 
“Nel caso in cui questa volontà interventista è intesa come un sostegno alle opposizioni di un regime, immediatamente offre l’occasione per inasprire le azioni di repressione; nel caso opposto, quando cioè l’eventuale discesa in campo è indirizzata contro le opposizioni, finisce per diventare uno strumento nelle mani di queste per delegittimare ulteriormente il governo”.
 
Ma ci sono anche scenari più complessi, come la Siria per esempio, nei quali nessuna delle fazioni in lotta è particolarmente gradita agli Usa e le dichiarazioni di guerra vengono così strumentalizzate da ambo le parti. “Lo stesso Assad non ha represso l’Isis finché questo nemico gli era utile per accreditarsi come baluardo di difesa contro l’avanzata islamica, ma allo stesso tempo ha sempre utilizzato le minacce americane per paventare alle milizie ribelli un governo ancor meno gradito del suo”, riassume Di Lonardo.
 
Nonostante lo slogan “America first” avesse fatto credere che l’attuale presidenza americana volesse varare un parziale disengagement dalla politica internazionale, Trump si è sempre dimostrato un grande sostenitore della strategia della deterrenza, riassunta, fin dagli anni Ottanta, nella teoria “peace through strength” e per questo ha alternato in questi anni azioni diplomatiche a dichiarazioni incendiarie.
 
“Questa strategia poteva avere senso durante la guerra fredda, perché l’Urss era il nemico ideale per sostenerla, e di fatto riuscì a evitare una guerra nucleare”, commenta il docente. “Oggi però questa teoria evidenzia dei limiti, soprattutto quando si ha a che fare con regimi autoritari che agiscono per spinte interne che non conosciamo, come in Corea del Nord, o che operano per mezzo di milizie armate finanziate dall’esterno e non del tutto controllabili, come in Iran. Questi sono scenari presentano dinamiche interne non prevedibili e le manifestazioni di forza, o anche solo le dichiarazioni appunto, hanno il rischio di portare a scenari di guerra che nessuno in realtà avrebbe davvero voluto”.
 
  Leggi l'artricolo sullo studio di Livio Di Lonardo


di Emanuele Elli
Bocconi Knowledge newsletter

Persone

  • Adam Eric Greenberg in una selezione finale della American Marketing Association

    Un lavoro sui fattori psicologici che influenzano la decisione di richiedere i benefici pensionistici negli Stati Uniti e' stato selezionato per il Paul E. Green Award  

  • Riconoscimento per Graziella Romeo

    L'International Journal of Constitutional Law ha una nuova Associate Editor  

Seminari

  Aprile 2024  
Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          

Seminari

  • Consumers and Artificial Intelligence

    STEPHANIE TULLY - University of Southern Californa

    Seminar Room 4-E4-SR03, 4th floor, via Roentgen 1

  • David B. Huffman - Minds, Models, and Markets: How Managerial Cognition shapes Pricing Strategies

    DAVID HUFFMAN - University of Pittsburgh

    Alberto Alesina Seminar Room 5.e4.sr04, floor 5, Via Roentgen 1